Basilicata. L’Eni inquina a sua insaputa, mentre i lucani si ammalano loro malgrado
Qualcuno deve aver drogato gli uomini della sicurezza all’interno del Centro Olio di Viggiano
Abbiamo scoperto in questi giorni che l’Eni inquina a sua insaputa. Trovano un solvente cancerogeno (il triclorometano), in quantità 100 volte superiore al limite di legge, nelle acque destinate alla reiniezione. L’Arpab fa i controlli, accerta la faccenda senza equivoci, chiede spiegazioni: che ci fa quel nelle acque? L’Eni: non riusciamo a spiegarcelo, il triclorometano non è presente nel processo produttivo del Cova. E quindi? La compagnia petrolifera fornisce una risposta sconvolgente: qualcun altro deve avercelo messo apposta.
Dunque il cane a sei zampe sarebbe vittima di un sabotaggio e se così fosse la faccenda sarebbe altrettanto grave: al Centro olio di Viggiano i controlli e la vigilanza sono assolutamente inefficienti. Ma torniamo al punto. Secondo la versione dei petrolieri, la spiegazione è facile ipotizzarla: qualcuno si sarebbe presa la briga e la responsabilità di procurarsi il solvente, di trasportalo fin sotto il naso dei controllori, scavare nel terreno senza essere visto e versare il composto tossico e cancerogeno per inquinare la falda, magari premurandosi di rendere innocuo il circuito delle telecamere di sorveglianza, non prima di aver drogato gli uomini della sicurezza.
Noi facciamo fatica ad accettare una ricostruzione del genere. E siamo abbastanza adulti per capire che il fatto, inquietante, al netto delle spiegazioni più o meno verosimili, è uno soltanto: nelle acque di reiniezione c’è una quantità di veleno che supera di 100 volte il limite di legge. Qualcuno non solo deve spiegazioni ragionevoli e credibili, ma deve impedire una volta per tutte che la sfacciataggine dei petrolieri continui a prendersi gioco dei lucani.
L’Arpab sta facendo tutte le verifiche del caso, a quanto pare senza fare sconti a nessuno. Poi la palla eventualmente passerà alla politica e alla magistratura.
Tuttavia, non vorremmo che qualche scienziato pagato dalla multinazionale tirasse fuori la storia che i suoli sono fonte probabile di triclorometano e che perciò il cloroformio può essere di origine naturale. Ricordiamo che grazie alle verosimiglianze scientifiche il cane a sei zampe l’ha fatta franca in molte occasioni.