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Amiamo le cose che dovremmo usare e usiamo le persone che dovremmo amare

29 novembre 2020 | 19:03
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Amiamo le cose che dovremmo usare e usiamo le persone che dovremmo amare

L’incultura del neo consumismo che umilia le donne e calpesta la loro femminilità

Finita la sbornia delle celebrazioni e dei convegni annuali, almeno credo, forse è possibile riflettere senza rumore sul clamore suscitato dal tutorial su come fare la spesa in modo sensuale, andato in onda martedì a “Detto Fatto” su Rai2, proprio alla vigilia della Giornata contro la violenza sulle donne. Polemiche in gran quantità sui social e indignazione sul fronte della politica. Ma anche tanta ipocrisia.

Va bene tutto. Quella roba trasmessa martedì è semplicemente la conferma di quanto accade ogni giorno ovunque. Più spesso in forme subdole, subliminali, apparentemente innocue: l’oggettivizzazione della donna e del suo corpo. Queste forme di violenza simbolica, impercettibili, le troviamo nella pubblicità, sulle riviste, nei programmi televisivi, nei videogiochi, reality show, talk show. Ogni giorno del calendario. La donna e il suo corpo ludicizzati e sessualizzati nelle campagne di persuasione al consumo. La dignità umana sacrificata sull’altare della propaganda commerciale. Certo, non è soltanto su questo fronte – il consumismo- che si realizza la quotidiana mortificazione della donna. Ma oggi è di questo che parliamo.

Il primato della mascolinità sopravvive e sembra accresciuto, seppure in forme diverse dal passato, proprio attraverso il messaggio dei media, dei social e delle applicazioni ludiche sui mobil device. La tecnologia ha veicolato un maschilismo più subdolo nella misura in cui ha fatto da supporto a un mascheramento della violenza di genere, diventata più pericolosa anche per causa di un infragilimento di quella mascolinità che oggi attacca “il femminile” per difendersi dalle proprie angosce maschili.

I danni causati dalla oggettivizzazione e sessualizzazione diffusa delle donne nella cultura di massa, come dimostrano numerosi studi, sono estesi e profondi. Incidono anche su una certa subcultura femminile che si nutre di banalismo esistenziale. L’offerta di corpi per immagini discutibili, per messaggi devastanti, è anche nelle mani delle donne. Non sempre si è costrette a posare con un profumo tra le gambe o per una scena che umilia il corpo allo scopo di promuovere la marca di un trapano, di un’automobile o di un contraccettivo.

Molta strada è stata percorsa sul fronte dei diritti grazie a i movimenti femminili e femministi. Tuttavia, esiste una condizione culturale e sociale che associa il maschilismo all’offerta di femminilismo (banalizzazione, oggettivizzazione, ludicizzazione e sessualizzazione della donna e del suo corpo).

Se le donne del tutorial avessero rifiutato di girare quel filmato si sarebbe evitato di lanciare quel messaggio? Se altre donne si rifiutassero di prestare il proprio corpo per campagne pubblicitarie a sfondo sessista e maschilista sarebbe un gran passo avanti? Certo, se una ragazza si rifiuta ci saranno altre disposte a farlo. Ed è questo il punto. Il traguardo è nel rifiuto di tutti e di tutte. I mezzi e i contenuti della pubblicità, il messaggio consumistico sono cinici, utilizzano le emozioni, anche le peggiori, le frustrazioni che risiedono nelle fragilità degli uomini e delle donne, al solo scopo del profitto.

Dunque, lo sguardo a senso unico su un problema così vasto e complesso, non aiuta granché. Sarebbe ora di riflettere e agire sia sul fronte della domanda di femminilismo da parte del maschilismo, sia sull’offerta di femminilismo da parte di settori femminili vittime o complici dei messaggi devastanti. Sul lato dell’offerta c’è un interesse economico (soldi), sul lato della domanda ci sono frustrazioni, nichilismo, disvalori, incultura, che distruggono l’Uomo sostantivo e forniscono concime all’uomo aggettivo.

Fin quando ci saranno donne costrette ad usare il proprio corpo come oggetto di supporto a un prodotto di consumo, a cose da usare, la civiltà non sarà compiuta.

Bisogna dunque riscoprire il valore della negazione, del rifiuto, della libertà di dire no. Ed è anche su questo versante che si giocano pezzi di futuro della civiltà. Per cui sarebbe interessante finirla con le solite giaculatorie convegnistiche e celebrative, per dedicarsi ad approfondire un dibattito che affronti possibili strategie e soluzioni di contrasto al consumismo nemico delle donne e dell’umanità. Almeno due possono essere le piste tracciabili: il rifiuto, la negazione, la ribellione, “io non mi presto”; il boicottaggio dei prodotti reclamati attraverso la mortificazione della dignità delle donne, “noi, tutti noi, non compriamo”.

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