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La Scuola che vorremmo: indizi elementari per una riforma strutturale

19 settembre 2020 | 16:07
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La Scuola che vorremmo: indizi elementari per una riforma strutturale

Basta con la divisione sociale delle conoscenze e con la mortificazione della cultura. Il futuro è nell’accumulazione collettiva del sapere e non nel monopolio privato delle ricchezze

Obbligo scolastico fino a 18 anni, discipline filosofiche e sociologiche, storiche e politiche a partire dai primi tre anni dopo le elementari. E poi, dal primo giorno, arte, musica, teatro, cinema, sport, in abbondanza per tutti fino alla conclusione del ciclo di studi. Ultimi due anni: discipline di orientamento e preparazione ai corsi di laurea universitari oppure ai master di specializzazione professionale e ai tirocini di addestramento alla professione tecnica o umanistica che sia.

Dalle elementari e fino alle superiori si sta a  scuola dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 17 e comunque dalla mattina al tardo pomeriggio. A scuola si pranza, si studia, si socializza, si utilizzano criticamente e con cognizioni di causa le tecnologie informatiche. Si studiano le forme e gli strumenti di comunicazione, i media, il funzionamento delle reti digitali, le minacce e le opportunità del progresso tecnologico. A scuola i ragazzi sviluppano il pensiero critico e la capacità di ragionamento.

A scuola si fa cinema, teatro, musica, arte, sport. Si studia matematica, fisica, chimica, geografia, storia e storia della scienza, ma la filosofia e i filosofi, la sociologia, la psicologia, la scienza politica, la storia dell’arte e della musica, del teatro e del cinema, poesia e letteratura, devono essere materie di base obbligatorie per l’intero ciclo di studi, dopo le elementari.

Naturalmente tutto pensato in forme e metodologie diversificate, con approcci didattici e pedagogici pertinenti alle fasi del ciclo e nel quadro delle diverse e necessarie variabili organizzative.

A scuola si viaggia, scambi con altre esperienze in Europa e nel mondo, almeno due volte l’anno trasferta di 15 giorni in Italia e all’estero. A scuola si imparano le lingue e si aprono le finestre sul mondo. A scuola i ragazzi incontrano scrittori, cineasti, pittori, musicisti, filosofi, sociologi, artisti, storici, romanzieri, poeti.

A scuola i ragazzi lavorano, piccole manutenzioni, cura dei giardini e degli spazi comuni, cucina, allestimenti, organizzazione di dibattiti, concerti, manifestazioni, gare sportive. Si impara a cooperare con esperienze di autogestione collettiva degli spazi e delle attività extra didattiche.

Le strutture scolastiche sono belle, stupende, attraenti, accoglienti, funzionali, sicure, accessibili a tutti. Giardini, biblioteche, sala cinema e teatro, sala musica, campi attrezzati per lo sport, sale multimediali, laboratori di scienza e di analisi critica dei fenomeni sociali. A scuola c’è il medico e l’infermeria. C’è il team di supporto ai ragazzi che restano indietro, a quelli che esprimono un disagio e che vivono in condizioni economiche e sociali di fragilità o che presentano problemi a livello fisico e psichico. La scuola è un posto meraviglioso.

Gli insegnanti, gli esperti, gli specialisti in ogni disciplina sono pagati meglio dei docenti universitari. Hanno l’obbligo formativo continuo – non a chiacchiere –  il dovere di frequentare corsi di aggiornamento nel periodo di chiusura delle attività scolastiche. La selezione degli insegnanti è severa, chiunque abbia a che fare con i ragazzi deve avere solide conoscenze di pedagogia e di psicologia dell’età evolutiva. L’obbligo di una pubblicazione annuale sull’esperienza didattica, pedagogica, relazionale con le indicazioni delle criticità e delle soluzioni per superarle.

Ecco, questi sarebbero a grandi linee gli indizi per una riforma strutturale della scuola pubblica meritevole di qualche decina di miliardi di investimento da Nord a Sud. Una scuola universale nei fatti, non a parole.

L’Università, la formazione universitaria, la ricerca sono un’altra storia che richiede un capitolo a parte.

Recovery fund? Dalle carte che si vedono in giro, al momento, appaiono solo dichiarazioni generiche e la solita tendenza a promuove l’occupazione e non il lavoro, a spendere sui contenitori e non sui contenuti, sulle forme del tetto e non sulla struttura delle fondamenta. Next Generation un tubo. Il rischio che i soldi finiscano nelle tasche di coloro che aspirano a una società di omini pronti all’uso degli algoritmi e delle nuove catene di montaggio, permane alto.

Abbiamo bisogno di una società dei saperi, in cui l’accumulazione di conoscenze, cultura, ideali, sia più importante e più attraente dell’accumulazione della ricchezza.