Basilicata. Il virus del denaro infetta lo sviluppo
Negli ultimi 20 anni – conto approssimativo – oltre 7 miliardi di euro tra fondi europei e ristorni petroliferi sono stati iniettati nelle vene di questa terra che continua a morire
In questa regione tutto si risolve con i soldi senza che mai si risolva alcunché. Denaro sotto forma di incentivi, di bonus, di contributo, di finanziamento. L’ultima è la proposta di azzeramento di tutte le tasse per coloro che si iscriveranno ad un corso di laurea, master o corso di specializzazione dell’Unibas. Ma l’elenco è lunghissimo a attraversa decenni di storia della Basilicata. Soldi soldi soldi. Negli ultimi 20 anni – conto approssimativo – oltre 7 miliardi di euro tra fondi europei e ristorni petroliferi sono stati iniettati nelle vene di questa terra. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Il virus del denaro ha infettato politici, dirigenti, imprenditori, funzionari, manager e, naturalmente, ogni sentiero di sviluppo. Anzi è la politica che ha creato il virus. Disoccupazione? Incentivi in denaro alle imprese. Povertà? Sussidi in denaro ai poveri. Inquinamento? Bonus gas. Infrastrutture? Soldi ai progettisti, agli avvocati, ai corrotti, e per l’opera da realizzare non resta nulla. L’unico modo per “sopravvivere” a quel virus è alimentarlo continuamente.
Eppure, il denaro sarebbe una delle risorse, non l’unica, a volte anche marginale, per costruire lo sviluppo di un territorio.
È vero, “senza soldi non si canta messa”, ma è pur vero che la messa non si canta senza il prete e senza i fedeli. Ci vogliono certo i soldi per costruire un capannone e attrezzarlo con i macchinari, ma fino a quando non ci metterà piede un falegname (magari onesto) quel capannone non sarà mai una falegnameria.
Ecco, quello che sfugge a molti è la marginalità del denaro in rapporto agli altri fattori di sviluppo. Loro non sanno che prima di incentivare l’uso del mezzo pubblico con uno sconto sul prezzo del biglietto è necessario che ci siano mezzi pubblici che funzionino. Non sanno che prima di tagliare le tasse universitarie c’è bisogno che quella Università funzioni bene e dia garanzie di alta qualità. O, forse, lo sanno, ma sono contagiati dal virus.
Quando è nata l’Unibas, 40 anni fa, i partiti locali si sono divisi persino i corsi di laurea, i docenti, gli amministrativi fino all’ultimo addetto alle pulizie. Anche con la nascita della testata giornalistica regionale della Rai hanno usato gli stessi metodi, infilando di qua e là uomini e donne targate dal potente di turno. Lo hanno fatto con gli ospedali, con le aziende sanitarie, con gli enti regionali e sub regionali, e così via. Lo hanno fatto con talune aziende di grandi “imprenditori con i soldi pubblici”. E continuano a farlo.
Dunque la logica prevalente è “chissenefrega del falegname e della falegnameria.”
A loro, i contagiati, interessa altro. I soldi per la progettazione, l’appalto per la realizzazione del capannone, quello per l’acquisto dei macchinari, gli espropri, le opere di urbanizzazione, le assunzioni, tutti i quattrini che girano intorno a un manufatto qualunque. Che sia la costruzione di un asilo nido senza bambini, di un pezzo di ferrovia senza i treni, di un palasport senza lo sport, di un impianto eolico senza vento, ciò che importa sono i soldi. Non il denaro in quanto tale, ma il denaro per i loro conti in banca. Ecco perché la classe politica e dirigente di questa Regione non ha una visione di sviluppo, una strategia di uscita dallo spopolamento del territorio e dall’impoverimento costante delle sue risorse: perché agisce per punti di vista e per tattiche. Il punto di vista del denaro e le tattiche per accumularlo. Siamo pieni di capannoni e scarsi di falegnami.
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