Coronavirus, Basilicata. L’etica dell’illegalità e il moralismo senza scrupoli
In questa crisi, come nel post terremoto, in molti provano ad assaltare la diligenza delle risorse pubbliche. C’è gente che piange per fottere e gente che fotte senza piangere
La Basilicata è anche figlia della sua storia, e le condizioni attuali della sua gente nascono e si sviluppano in quella storia. La Basilicata è una regione che non si è mai unificata in una compiuta identità comune e condivisa. La Lucania era ed è altra cosa dalla Basilicata. La Lucania non esiste più e non ha mai avuto modo di realizzarsi entro i suoi confini storici originari.
Esistono ancora antiche frammentazioni territoriali, municipalistiche e direi egoistiche tra le diverse aree della regione. Tutta la retorica sulla “lucanità” non è altro che un rutto oratorio, esercizio di apparenze, illusione storica. Certo potrei sbagliarmi, ma al momento non trovo argomenti che mi facciano cambiare idea, idea che cambierei volentieri.
L’istituzione “Regione Basilicata” da quando è nata, non ha mai rappresentato la “sintesi superiore” in cui tutti potessero identificarsi, punto di riferimento di organizzazione di una “comunità lucana”, ma lo strumento da usare, da mungere, un luogo di potere da occupare o a cui obbedire con timore.
E dunque, anche per causa di questa debolezza, a prevalere nel rapporto tra istituzioni, politica e società è stato ed è “la roba”, l’interesse, il potere, la tutela dei propri recinti pubblici e privati. L’interesse generale è cosa nebulosa, inafferrabile, incomprensibile. I beni comuni scarsamente percepiti, difficili da identificare, perché spesso usati e consumati in forma privatistica.
Si è costruita, in questa dinamica, una sorta di etica dell’illegalità del Potere, per cui violare le regole, le norme di convivenza civile, e persino, in alcuni casi, la legge, trova una giustificazione moralistica in una “ragione superiore”. E quella ragione è spesso legata alla tutela dei propri interessi supremi, individuali o di gruppo.
Di fronte allo specchio di questa realtà si sviluppa un giustificazionismo moralistico anche nella sfera pubblica, per cui gli interessi particolari, la furbizia, la scaltrezza e il malaffare diventano valori.
In queste settimane di crisi acuta, riprende quota l’ammirazione per i furbi. Come nel post terremoto, in molti provano ad assaltare la diligenza delle risorse pubbliche. E come allora, i furbi e i cinici sono tollerati dalle istituzioni in nome di una malintesa pace sociale. C’è gente che piange per fottere e gente che fotte senza piangere.
Per gli invisibili e i veri poveri, per le aziende oneste, per gli artigiani e commercianti sull’orlo del fallimento, le istituzioni annaspano e le banche fanno spallucce. Intanto il crimine, moralmente giustificato dalle “necessità”, avanza e impone i suoi valori. E la politica della risposta ai bisogni, in luogo della tutela dei diritti, riprende a marciare sulla miseria e sull’emergenza, accresce il suo potere e mette al sicuro le sante alleanze.