Il report curato dall’associazione “A Sud” e dal Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali svela le modalità di greenwashing della multinazionale
“Verso una transizione energetica socialmente equa” ma a colpi di aumenti di produzione di petrolio: è uno dei tanti paradossi di Eni, messi alla luce dal dossier “Follow the green – la narrazione di Eni alla prova dei fatti”, curato dall’associazione A Sud e dal Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali.
Il report accende i riflettori sulle modalità, spesso mistificatorie, con cui il colosso energetico italiano si racconta su temi sempre più centrali nel dibattito pubblico: economia circolare, cambiamenti climatici, fonti rinnovabili.
Da una parte la narrazione, dall’altra la realtà. Mentre si impegna, e impegna milioni, a promuovere un’immagine ecologica delle proprie attività, gli investimenti previsti fino al 2023 per lʼesplorazione e la produzione di idrocarburi rappresentano ancora il 74% del totale.
“Spesso sono gli stessi numeri forniti dall’azienda a contraddire lo storytelling – afferma Maura Peca, ricercatrice e coautrice del dossier – Solo nel 2019 Eni ha speso in attività di comunicazione 73 milioni di euro. Molte volte si è trattato di vero e proprio greenwashing, come nel caso della campagna pubblicitaria sul Green Diesel, recentemente sanzionata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Tra l’altro quel “biocarburante” è alla base della riconversione delle ex raffinerie di Porto Marghera e di Gela. Abbiamo inoltre scoperto che non solo attualmente i due siti vengono alimentati con olio di palma proveniente dall’Indonesia ma che anche nel caso degli oli esausti questi verranno importati dall’estero. Tutto il contrario della valorizzazione del territorio che è alla base dell’economia circolare”.
Nel recente piano strategico a lungo termine l’amministratore delegato Claudio Descalzi ha disegnato le prospettive dell’azienda fino al 2050: un orizzonte temporale che neanche lo Stato italiano si è dato, e che però sostanzialmente punta quasi tutto sulla progressiva sostituzione del petrolio col gas naturale. Da una fonte fossile a un’altra, seppur di minor impatto ambientale: è questa l’idea di transizione energetica di Eni?
“È tempo che il cane a sei zampe intraprenda un reale e credibile percorso di decarbonizzazione – osserva Marica Di Pierri, presidente del Cdca – pianificando a tappe serrate l’abbandono delle fonti fossili e la transizione verso fonti energetiche pulite e rinnovabili. L’azienda ha gli strumenti, le risorse economiche e le competenze per farlo. Serve un deciso cambio di rotta. Nel 2019 le emissioni storiche di gas serra hanno già raggiunto (e consumato) il 76% del carbon budget a disposizione per limitare l’incremento della temperatura al di sotto dei 2°C al 2100. Chi lo dice? Non il ministero dell’Ambiente, né l’Istituto Superiore di Sanità, né gli esperti dell’Ipcc né tantomeno le associazioni ambientaliste. È il contenuto delle slides curate da Eni nei corsi di educazione ambientale voluti dallʼAssociazione Nazionale Presidi”.
Le evidenze raccontate nella pubblicazione sarebbero state presentate da A Sud e CDCA, attraverso lo strumento dell’azionariato critico, nel corso dell’Assemblea degli azionisti di Eni in programma mercoledi prossimo 13 maggio, se l’azienda non avesse deciso di svolgerla a porte chiuse senza permettere, neppure attraverso gli strumenti telematici, i consueti interventi da parte dei singoli azionisti. Un modo comodo e indolore di escludere il dibattito dall’annuale riunione, che ha visto crescere negli ultimi anni le voci critiche e gli interventi di denuncia.
Il dossier è disponibile e scaricabile gratuitamente.