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La storia di Antonio: Io, con febbre e tosse, non so più che fare. Aiutatemi

20 marzo 2020 | 10:24
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La storia di Antonio: Io, con febbre e tosse, non so più che fare. Aiutatemi

L’uomo non sta bene da due settimane. Decine le chiamate per chiedere un intervento sanitario

Abbiamo contattato al telefono Antonio, l’uomo di Potenza di 67 anni, che da 15 giorni è a casa con febbre e tosse. Ci accorgiamo che ha difficoltà anche a parlare, tossisce spesso dall’altro lato del telefono.

Dopo il drammatico appello del figlio sui social, proviamo a farci raccontare da lui quello che sta accadendo.

Ho la febbre da due settimane”. Non ha bisogno di aggiungere che ha la tosse e il respiro affannato. Ce ne rendiamo conto andando avanti nella conversazione.

Credetemi è un rimpallo di responsabilità. Ho chiesto di fare una radiografia o una tac”. La sua voce interrotta da continui colpi di tosse tradisce sconforto.

“Soltanto venerdì scorso, dopo aver chiamato più volte mi hanno fatto andare in pronto soccorso dove mi hanno visitato e mandato a casa”. L’uomo continua a parlare con molta difficoltà. Non andiamo avanti, è chiara la difficoltà che ha in questo momento.

E’ dalle parole del figlio, nel lungo post su facebook, che apprendiamo tutti i dettagli.

Essendo soggetto quasi ogni anno a bronchiti stagionali, in accordo con il medico di famiglia ha iniziato una terapia antibiotica, che però dopo la prima settimana non ha dato risultati. La febbre, invece di scendere, continua a peggiorare: sale, scende, la sera arriva anche a 39 e cala solo con la Tachipirina. La tosse è una tosse secca, e peggiora notevolmente con lo sforzo fisico.

Con dei sintomi del genere, il medico di famiglia (l’unica persona che davvero si sta sbattendo insieme a noi in tutto questo, un vero eroe considerando tutto il carico di lavoro cui è sottoposto) non può ovviamente venire a casa. Nè noi possiamo portarlo fuori di casa a fare tutti gli accertamenti di cui avrebbe bisogno: una visita per ascoltare le spalle, una radiografia al torace, una TAC. E allora è qui che comincia un rimbalzo di responsabiiltà che da una settimana ci sta tormentando.

Chiamiamo la guardia medica, e ci dicono di chiamare il 118. Il 118 ci fa sapere, con tono quasi minaccioso, che se mio padre non è in fin di vita loro non possono intervenire assolutamente. Chiamate la guardia medica, ci dicono. Richiamiamo la Guardia Medica, e venerdì notte la Guardia Medica mi autorizza a portarlo al Pronto Soccorso, dicendomi che è stato allestito un percorso in pre-triage per accogliere in sicurezza i casi sospetti. Viene visitato e mandato a casa in 5 minuti, con diagnosi di “febbre e tosse”, senza ulteriori accertamenti, e con terapia di 10 giorni di antibiotico più pesante, tramite iniezioni.

Nel frattempo, è stato anche avviato il protocollo per il coronavirus. Ma se non hai avuto contatti con una persona sicuramente positiva, nessuno verrà mai a farti il tampone (ma se non fate i tamponi, come devono venire fuori le persone sicuramente positive?). Nello scorso fine settimana i sintomi peggiorano, la febbre sale, e quando mio padre fa i 13 gradini interni alla mia abitazione fa la tosse per due minuti buoni: a me pare segno che qualche difficoltà respiratoria ce l’abbia, ma alla seconda chiamata al 118 ci confermano che se non ha problemi a respirare da fermo non possono intervenire, nemmeno se sta per svenire per la febbre.

Parliamo con l’Asp, dopo due giorni di rimpalli riusciamo a parlare con il Direttore Sanitario, colui che autorizza i tamponi. Due giorni fa ci fanno sapere che stanno decidendo se fare il tampone oppure no, ma passano due giorni e tamponi non ne abbiamo visti. In tutto questo, finchè non gli fanno un tampone, non si può muovere da casa, né può venire nessuno a visitarlo.

Non c’è modo di uscire da questa situazione: il 118 si rifiuta di intervenire, la Guardia Medica non può venire a casa, non possiamo portarlo al Pronto Soccorso. Nel frattempo, la febbre non scende, il respiro di mio padre peggiora, la preoccupazione sale.

Io e mia mamma stiamo impazzendo. Passiamo le nostre giornate al telefono, chiamiamo Guardia Medica, ASP, 118, medico curante (ripeto: l’unico che in tutte le difficoltà ci sta assistendo con amore per la sua professione). Chiamiamo, parliamo, ma l’unica cosa che riusciamo a ottenere è un altro numero di telefono da chiamare, perché a quanto pare la salute di una persona, fino a che non si accerta se abbia il coronavirus o meno, non è responsabilità di nessuno. Non gli fanno il tampone, se non gli fanno il tampone non può fare altri accertamenti perché considerato a rischio, se non gli fanno altri accertamenti la sua salute continua a peggiorare giorno dopo giorno.

Ora, vi chiedo: è possibile che una persona che ha la febbre da 3 settimane con problemi respiratori non possa essere curata da nessuno? È possibile abbandonare me e mia madre al nostro destino e continuare a rimbalzarci da una parte all’altra, senza avere una risposta, mentre dobbiamo continuare a tenere d’occhio mio padre? Così funziona la macchina organizzativa sanità in una regione con meno di 50 casi accertati di coronavirus? Cittadini abbandonati al vostro destino, accendete un cero e pregate.

Dobbiamo aspettare che mio padre muoia per capire chi deve prendersi la responsabilità di dirci cosa abbia? No, perché poi, nel caso, io sono pronto a prendermi tutta la responsabilità delle mie azioni successive.