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Potenza, inaugurato l’anno giudiziario: “Nessuna zona immune da mafia”

1 febbraio 2020 | 16:40
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Potenza, inaugurato l’anno giudiziario: “Nessuna zona immune da mafia”

La relazione del Procuratore generale presso la Corte d’Appello, D’Alterio

Nel suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario svoltasi oggi al Tribunale di Potenza, il Procuratore generale presso la Corte d’Appello, Armando D’Alterio, ha sottolineato l’inadeguatezza del sistema di contrasto al fenomeno mafioso- da cui nessuna zona del Distretto è immune- sotto il profilo dell’inesistenza nel distretto di un presidio della Dia. La Basilicata deve infatti far riferimento alla Dia di Bari per ciò che accade in Basilicata, e di Salerno per l’ex circondario di Sala Consilina”. In particolare il Materano e la fascia jonica -ha spiegato- “costituiscono la zona a più alto tasso di presenza mafiosa dell’intero Distretto”.

Nella suddivisione del territorio D’Alterio ha tracciato una linea di demarcazione tra clan operanti nel potentino e clan attivi nel materano. Quelli insediati nel Vulture-Melfese dopo anni di sanguinose lotte di mafia, sono dediti a riciclaggio e reinvestimento. Nella provincia di Matera, ed in particolar modo nel Metapontino si registra invece la presenza di clan che hanno monopolizzato le attività imprenditoriali, il riciclaggio e che spesso di sono serviti di attentati e intimidazioni. Interesse suscita il settore dell’agricoltura in cui lo sfruttamento dei migranti nei campi ha fatto registrare una particolare diffusione del caporalato.

La presidente della Corte d’Appello di Potenza, Rosa Patrizia Sinisi, nella sua relazione parlando invece delle riforme del processo civile e di quello penale ha sottolineato come esse si siano rivelate cure palliative che hanno placato il sintomo ma non debellato la malattia delle giustizia. Sinisi ha poi voluto ricordare la modernità delle Constitutiones Melphitanae promulgate del 1231 dall’impreratore Federico II che aveva una idea precisa di fondo: una giustizia laica sottratta a chierici e baroni per affidarla a magistrati regi, i maestri giustizieri, ai quali era interdetto l’esercizio del proprio ufficio, peraltro temporaneo, nella provincia d’origine.