Criminalità e sottosviluppo in Basilicata
Come e perché l’economia illegale impoverisce il territorio?
La mafia è “ricchezza” ma le zone in cui opera non si arricchiscono. E attraverso le attività illecite, e quelle apparentemente legali, sottrae ulteriori risorse contribuendo a ritardare lo sviluppo del territorio. Dunque, uno dei tanti motivi per cui non bisogna sottovalutare i fenomeni criminali, è di carattere economico. La mafia e la mafiosità impoveriscono la collettività e arricchiscono gruppi ristretti.
La ricchezza dei mafiosi e l’erosione delle opportunità di sviluppo
Abbiamo già stabilito che l’attività estorsiva dei gruppi criminaliserve, tra l’altro, a sancire un potere. Se paghi la tassa per “stare tranquillo” riconosci all’estorsore un dominio sul territorio. L’estorsione, alla pari delle rapine, dei furti e delle tangenti è un’attività che non produce ricchezza ma la redistribuisce trasferendola da un soggetto all’altro senza alcun valore aggiunto. Esistono altre attività come il contrabbando, l’usura, il gioco d’azzardo, lo spaccio di droga, eccetera che, teoricamente, basandosi sullo scambio, potrebbero produrre reddito nei vari passaggi in cui si aggiunge “valore”. Eppure, in tutti i casi, questo non avviene. Cerchiamo di capire perché, aiutandoci con la riflessione di Isaia Sales – in “Storia dell’Italia mafiosa” – provando a contestualizzarla nella realtà lucana, con conclusioni parzialmente diverse da quelle tratte dall’autore del libro.
Una delle spiegazioni, vale per qualunque territorio. Gli affari illeciti dei gruppi associativi criminali arricchiscono solo i capi, mentre i loro “soldati” e affiliati, anche se non se la passano male, ricevono una piccola parte della ricchezza. I profitti sono appannaggio di poche persone, tutti gli altri sono “stipendiati”. Soprattutto nel traffico dei rifiuti i profitti sono quasi tutti incassati dal boss. Inoltre, la ricchezza accumulata in un territorio è prevalentemente reinvestita in altre zone distanti dal luogo in cui si è generata.
Nel settore degli appalti, il costo dell’opera è il più delle volte aumentato dalle tangenti da pagare e quindi l’onere in parte finisce per gravare sulla collettività.
Gran parte dei profitti criminali finiscono in consumi opulenti di beni e servizi non prodotti sul territorio ma provenienti da altre zone. Un’altra parte dei profitti, che finisce nelle rendite immobiliari e nella finanza speculativa, va ad alimentare ricchezza altrove. Gli investimenti locali non aggiungono nulla e sottraggono. E mentre sottraggono aggiungono paure, incertezze, disagi, pessimismo.
Mercanti è più facile che industriali
Come sembra accadere soprattutto nel Metapontino e nelle aree del petrolio l’impresa criminale non aggiunge nulla a quelle esistenti. Anzi, si sostituisce a quelle che già operano, sottraendo mercato alle aziende che agiscono legalmente. Comprano, anche attraverso il giro perverso dell’usura e dei fallimenti, intere attività. E quando non comprano entrano nel capitale delle società seppure con l’intenzione di sostituire completamente la proprietà. I settori più aggrediti e aggredibili da questa opera di sottrazione di valore economico da parte delle mafie sono l’agro-alimentare, i lavori per la realizzazione di opere pubbliche, o private – come nel caso dei cantieri Total, o come nel caso dei cantieri eolici – la gestione dei rifiuti, le attività commerciali, i settori del divertimento, turismo e del gioco d’azzardo, l’edilizia.
Come è ormai evidente – anche qui in Basilicata – i mafiosi sono più mercanti che industriali. Preferiscono la distribuzione alla produzione, nei settori più protetti dove magari è richiesto un elevato apporto di capitale ma non una elevata capacità di gestione e di innovazione. Preferiscono l’intermediazione e lo sfruttamento della manodopera, specie in agricoltura, l’attività di falsificazione dei prodotti tessili e di sofisticazione di quelli alimentari, piuttosto che accostarsi al settore manifatturiero. Preferiscono mettere le mani sulle risorse pubbliche piuttosto che sui settori ad alta tecnologia.
I gruppi criminali associativi non mettono piede nella media e grande industria, tantomeno nell’industria petrolifera. In Basilicata non hanno né la forza né la capacità per farlo. Si sono ormai organizzati da tempo per sfruttare le attività dell’indotto, più facili da gestire e più soccombenti alle pressioni della violenza.
Le briciole avvelenate
Questa sottrazione di valore all’economia del territorio avviene sostanzialmente attraverso il trasferimento di ricchezza dai circuiti legali a quelli illeciti che a loro volta, attraverso il riciclaggio rientrano nell’alveo della legalità. A quel punto è tutto più semplice perché le modalità dell’economia criminale sono le stesse dell’economia legale. Le attuali regole del mercato e dell’economia non respingono le modalità con cui gira la ricchezza illegale. E siccome il consenso economico non è consenso morale, anche i mafiosi fanno girare soldi e creano lavoro seppure si tratti di soldi e lavoro che aggiungono nulla all’esistente o al pre-esistente, anzi sottraggono. E dobbiamo anche ipotizzare che in alcuni casi, attraverso taluni sportelli bancari, siano gli stessi ignari correntisti del luogo a finanziare investimenti criminali.
Su questo versante – quello dell’economia e della sottrazione di risorse al territorio – appaiono molto più pericolosi i gruppi del Metapontino, del Melfese e della città Capoluogo di regione collegati alle mafie campane, pugliesi e calabresi. Nel Lagonegrese, nella Val d’Agri e nella Valle del Sauro la partita sembra essere in mano direttamente a gruppi esterni, in particolare calabresi.
Dunque se le mafie lasciano sul territorio le briciole della ricchezza che sottraggono, quelle briciole sono avvelenate.
Le zone grigie e gli “uomini cerniera”
Una regione povera e a ritardo di sviluppo come la Basilicata non può permettersi che la sua debole e fragile economia venga infiltrata da gruppi criminali. Non può permettersi che si sviluppi un meccanismo di erosione delle potenzialità di crescita e di sviluppo per causa delle mafie. Non si può permettere forme di convivenza tra economia pulita e sporca, tra imprenditoria sana e imprenditoria malavitosa.
Ecco perché questo tema deve essere sempre tra i punti all’ordine del giorno di tutti i tavoli istituzionali, tecnici, operativi, regionali e locali che discutono e decidono azioni e misure che riguardano i settori dell’economia e del lavoro.
Ecco perché non devono essere tollerabili “negligenze”, superficialità, errori nei procedimenti amministrativi che trattano di autorizzazioni, concessioni e appalti.
Ecco perché occorre tolleranza zero verso episodi di “vicinanza” tra politica e gruppi associativi criminali.
Perché si sappia, le zone grigie, in cui si muovono e crescono “uomini cerniera” tra istituzioni locali e criminalità, si espandono.
E le zone grigie sono il prodotto di una cultura della mafiosità che avvicina i metodi di gestione del potere politico e economico ai metodi di gestione del potere criminale.