Basilicata. La Facoltà di medicina e la ricotta fresca

16 gennaio 2020 | 14:33
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Basilicata. La Facoltà di medicina e la ricotta fresca

Il piatto ricco per i soliti commensali. Siamo sicuri che il progetto sia utile per i lucani?

Provate a spruzzare profumo su abiti sporchi e maleodoranti. Provate a costruire una capanna sulle sabbie mobili o a riempire d’acqua un secchio bucato. Probabilmente non avrete successo. Tutte queste iniziative sarebbero destinate a produrre alcun risultato. Anzi, probabilmente peggioreranno la situazione: spreco di energie e risorse. Tuttavia, qualcuno potrebbe guadagnarci da quelle operazioni. Magari chi è interessato a vendere profumi, chi vorrebbe mettere a valore un terreno invendibile, chi vorrebbe speculare sulla carenza di acqua. Tutto a prescindere dall’utilità collettiva, dall’interesse generale, di operazioni che richiedono in qualche modo un investimento pubblico.

L’incudine sulla ricotta

Molte misure per il cosiddetto “sviluppo”, per l’occupazione, per l’incremento dell’offerta pubblica di servizi sociali, per contrastare lo spopolamento, e così via, sono state caratterizzate in Basilicata da un limite: l’ignoranza delle condizioni di contesto. Vale a dire che ogni cosa è stata realizzata – con risultati deludenti – senza tenere conto, delle fondamenta e del terreno sociale, culturale, politico, economico su cui poggiarle. Un esempio su tutto – ma ne potremmo fare a decine – le misure di contrasto alla povertà e di inserimento lavorativo.

Rcordiamo “La cittadinanza solidale”, una misura che aveva la pretesa di creare occupazione per le persone più disagiate e povere. Quella misura – fallita – non solo ha ignorato le condizioni generali della Basilicata, ma non aveva alla base nemmeno un’idea valida di che cosa fosse la povertà. Si pretendeva che gente senza istruzione, senza abilità e competenze spendibili sul mercato del lavoro, trovasse un’occupazione. I poveri – secondo gli scienziati di quella misura – avrebbero trovato un lavoro in un territorio a sua volta povero, dove nemmeno i diplomati, laureati e specializzati, riescono a trovare una soluzione occupazionale. Quella misura era appoggiata sul nulla, perciò è crollata. Tuttavia, c’è stato un investimento pubblico, soldi che in un modo e nell’altro sono finiti anche nelle mani di improvvisatori maghi dell’occupazione: centri di formazione, orientatori, e così via. È servita, anche, a molti sindaci i quali, in alcuni casi, consegnavano personalmente l’assegno alle persone beneficiarie sistemate in fila davanti la porta dell’ufficio. Code di poveracci e di finti poveri la cui dignità veniva calpestata da quella modalità di consegna del sussidio: tutti in fila davanti la porta del benefattore. È servita agli autori e ai protagonisti politici come investimento per incassare consenso elettorale. Quella misura e le altre che sono seguite, con nome diverso, ma con la medesima sostanza, hanno prodotto nessuna utilità. I dati sulla povertà e sull’occupazione sanciscono il fallimento del metodo e dell’approccio.

Possiamo anche ricordare misure che hanno sprecato denaro pubblico per costruire strutture per servizi socio-assistenziali, asili nido, e quant’altro. Strutture rimaste vuote semplicemente perché nessuno le ha riempite di sostanza. Vale a dire che un capannone senza le attrezzature e senza il falegname non sarà mai una falegnameria. Ecco, loro hanno preferito il capannone, senza preoccuparsi del resto. E magari il capannone destinato a diventare falegnameria lo hanno costruito laddove nessuno ha bisogno di un falegname. E che dire della politica fallimentare degli incentivi all’occupazione?

Questo è l’approccio che abbiamo già definito “fare il vino dal fiasco”. Intanto, qualcuno ci ha guadagnato a prescindere dalla falegnameria: progettisti, politici, ditte amiche, e così via.

La Facoltà di medicina nel mercato degli stracci

Oggi, si riapre la porta a quella “meravigliosa” idea della Facoltà di medicina. Le proprietà miracolose attribuite da alcuni a questo “straordinario” obiettivo, dovrebbero far riflettere. Assistiamo a frettolose dichiarazioni per cui aprire medicina all’Unibas sarebbe la panacea di tutti i mali della Basilicata: efficienza e avanguardia nei servizi sanitari, rilancio dell’ospedale san Carlo, fine del ricorso alle università fuori sede, giovani che decidono di non emigrare, migliaia di cittadini che da altre regioni corrono in Basilicata per farsi curare, e chi più ne ha più ne metta. Ad ogni modo non pare che nei territori in cui non esiste una Facoltà di medicina la sanità sia morta, e non pare che la sanità sia sempre eccellente laddove esista la Facoltà.

In verità, appoggiare un’incudine su una base di ricotta fresca non dovrebbe essere una buona idea. In quale sistema politico, economico, scolastico, di welfare si innesterebbe la Facoltà? In quale crogiuolo di interessi politici, economici, professionali si collocherebbe la nuova istituzione? Non ci pare che la Basilicata sia, oggi, all’altezza di affrontare un percorso che richiederebbe ben altre condizioni di quelle attuali. Una facoltà di medicina qui sarebbe come un negozio di abbigliamento alla moda al centro di un mercato di stracci.

A chi giova una Facoltà di medicina? È questa la priorità della Basilicata?

Quando venne istituita l’Unibas ci fu una bella gran spartizione di incarichi tra Pci-Dc-Psi. Docenze, assunzioni nei vari uffici, e tutto il resto. La catena economica e non solo economica sarebbe sempre la stessa: soldi – incarichi – docenze – primariati – assunzioni – soldi – consenso elettorale – soldi – cittadini con le mosche in mano.

Le condizioni della sanità e degli ospedali in questa regione sono penose. Le condizioni dell’Università non sono esaltanti. Le prove che la politica è riuscita a dare, su tutti i fronti, sono deludenti. Il livello di qualità della classe dirigente che ancora si ostina a tenersi stretto il potere, è scarso. Il trend demografico negativo è spaventoso.

A chi servirebbe? A qualche decina di ragazzi che vorrà iscriversi a medicina? Oppure ad altri ragazzi di fuori regione che vorranno – non si capisce perché – iscriversi in Basilicata e non nelle facoltà di medicina già esistenti nei luoghi di residenza? E perché dovrebbero preferire la Basilicata, anziché Torino, Pavia, Padova, Bologna, Bari, Napoli, Salerno, Chieti, Catanzaro? Perché uno studente dalla Calabria dovrebbe scegliere la Basilicata anziché Catanzaro? E perché uno della Campania dovrebbe preferire Potenza a Napoli o Salerno?

Potrebbero scegliere la Basilicata se la Facoltà avesse corsi di alta specializzazione inesistenti o quasi inesistenti altrove. Se avesse docenti di altissimo profilo. E perché docenti di altissimo profilo dovrebbero preferire la Basilicata a Londra o a Milano o a Parigi?

Tuttavia, come nel caso della capanna e del profumo, a qualcuno la Facoltà di medicina servirebbe.

Per fare in modo che sia utile per la  Basilicata e per i lucani, non solo per i soliti invitati alla tavolata, occorre preliminarmente creare le condizioni necessarie ad accogliere questa iniziativa su un terreno favorevole al suo sviluppo e al suo funzionamento. E oggi queste condizioni non ci sono. Si lavori per crearle. Nel frattempo si rifletta sulle vere priorità di questa regione.