La Basilicata ‘omertosa’. Potere, istituzioni e politica

18 dicembre 2019 | 12:47
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La Basilicata ‘omertosa’. Potere, istituzioni e politica

I lucani colonizzati dalla Lega, dalle multinazionali del petrolio e dal malaffare. Perché?

Riflettiamo anche su questo. Esistono delle teorie – cosiddette culturaliste – sulle quali la Basilicata, e magari il Sud intero, dovrebbero finalmente riflettere. Perché gli stereotipi sulla società meridionale diffusi da ormai un secolo hanno costretto i cittadini del Sud ad una percezione distorta di se stessi e della loro realtà economica e sociale. E questa percezione ha, di fatto, fornito un motivo per essere e apparire “inferiori” rispetto ai cittadini di altre zone del Paese. Stereotipi che sono serviti a giustificare questa ipotetica inferiorità sulla base di interpretazioni culturaliste della realtà. Interpretazioni che scaricano sui costumi, sulle abitudini, sulla mentalità, sull’indole delle popolazioni le cause di fenomeni negativi.

“L’indole meridionale”, ossia le inclinazioni naturali della popolazione, sarebbe la causa dell’arretratezza, dello scarso civismo, dell’incapacità di fare sviluppo, dell’omertà, del familismo amorale. E quel concetto è stato spesso usato contro i lucani. La povertà è conseguenza della nostra “indole”, non delle condizioni economiche e materiali, infrastrutturali, in cui vive la Basilicata da secoli e dell’incapacità della politica. La povertà – intesa in senso largo – non è dovuta ad altro se non alla nostra “inferiorità” culturale, al nostro familismo.

Ecco che cosa significa interpretazione culturalista: l’omertà deve necessariamente essere un’inclinazione naturale della popolazione lucana che si esprime nella cultura, nelle attitudini, nella mentalità della gente.

Questo approccio consente a chiunque di dire che una società “egoistica” produce inciviltà e miseria senza spiegare perché un’altra società, esattamente egoistica e individualistica allo stesso modo è – secondo Adam Smith – a base del capitalismo moderno e quindi generatrice di ricchezza e di civiltà.

Dunque, se i lucani inseguono il proprio egoismo danno origine a povertà, mentre i “brambilla” milanesi danno origine a ricchezze. Stereotipo.

Anche la corruzione spesso viene presentata come un problema di costume delle popolazioni, anziché come un problema di persone che sono ai vertici della politica e delle istituzioni. E’ un problema che non coinvolge i ceti popolari ma le élite, gente che assume decisioni pubbliche per favorire interessi privati.

Condivido, e qui rielaboro in un’altra chiave,  le argomentazioni di Isaia Sales nel suo libro Storia dell’Italia mafiosa.

L’alibi dell’omertà

L’omertà, allo stesso modo, sarebbe parte intima della nostra indole. Avremmo un’attitudine a farci i fatti nostri, una mentalità chiusa dalla paura, accerchiata dal dovere di pensare a se stessi e alla propria famiglia. Insomma, l’omertà sarebbe un nostro problema antropologico, così come la povertà, la sottomissione al potere, compreso il potere mafioso. Perciò la nostra omertà sarebbe un “silenzio di condivisione” e non solo di paura.

Dobbiamo al contrario ipotizzare che il silenzio e la paura crescono quando la giustizia non funziona, quando le istituzioni si rendono complici dei malavitosi o quando la corruzione dilaga senza che mai un corrotto vada in galera. Il silenzio e la paura crescono quando la mafiosità è costume dentro le istituzioni che dovrebbero tutelare i cittadini e la legalità. Quando la politica è potere fatto a sistema e agisce con arroganza e con la violenza del ricatto. Anche l’impunità causa il silenzio e diffonde la paura.

I dati statistici dimostrerebbero come il mito dell’omertà nel Sud sia falso. In Basilicata, per esempio, la percentuale di autori di reato identificati, quindi beccati, nel 2010 è del 30,40 % e nel 2012 del 32%, mentre in Lombardia è del 14% nel 2010 e del 14,6% nel 2012. La media italiana è del 18,6%.

È chiaro che le cose cambiano quando si tratta, per esempio, di omicidi commessi da appartenenti a organizzazioni criminali, soprattutto se quei crimini restano impuniti. Se reagisci a situazioni di illegalità, di malaffare e puniscono te anziché i malfattori, tutti gli altri avranno paura di fare la tua stessa fine. Se i politici e i funzionari corrotti la fanno franca è facile che i dipendenti dell’ente interessato dalle indagini, stiano zitti per paura di ritorsioni. Tacere diventa una scelta razionale, valutata in base ai pericoli oggettivi in una determinata situazione. L’omertà è un comportamento imposto con la forza e con la paura. Con questo non si vuole giustificare chi non reagisce e non denuncia il malaffare: parlare è un atto di civiltà e tuttavia è un atto di coraggio. E chi non ha coraggio deve essere incoraggiato dal comportamento delle istituzioni.

Incapaci. Gli stereotipi usati come arma di dominio

“Le teorie culturaliste spostano le responsabilità sulle spalle delle vittime”, dice Lodato. E se guardiamo alla Basilicata – attualizzando i riferimenti storici –  non posso che condividere. La conquista del territorio da parte di poteri economici e politici esogeni, è stata scientificamente giustificata dalla necessità di aiutare popolazioni che “da sole non ce l’avrebbero mai fatta ad uscire dalla loro arretratezza” e – nel nostro caso – a utilizzare al meglio le risorse del loro sottosuolo. Questa semplificazione ha fatto comodo a molti, e noi le abbiamo offerto il fianco nella misura in cui abbiamo interiorizzato una percezione di noi stessi e della realtà completamente distorte: egoisti, individualisti, omertosi, perciò incapaci di agire virtuosamente nella direzione dello sviluppo. All’origine della colonizzazione petrolifera della Basilicata c’è una errata convinzione dei lucani: finalmente ci sarà sviluppo, grazie “allo straniero più capace di noi”.

Gli atteggiamenti anti meridionali della Lega Nord si sono nutriti di teorie culturaliste. E l’altra faccia della medaglia più recente, rappresentata da Matteo Salvini nel corso della campagna elettorale per le regionali in Basilicata, è frutto di quelle teorie: “vogliamo che le cose qui funzionino come in Lombardia, ospedali, asili nido, scuole, lavoro, modernità”, utilizzando meglio le vostre ricchezze quali il petrolio”. Il che vuol dire: voi non siete capaci, noi sì. E tutta una questione di virtù, di indole, di cultura. Non a caso la Lega vince alle regionali e conquista anche la città capoluogo. La Lega ha un progetto di colonizzazione politica della Basilicata, per favorire lo sfruttamento delle risorse da parte delle industrie del Nord. Le ragioni di fondo risiedono nell’orribile intreccio tra la percezione distorta che i lucani hanno di loro stessi, la sfiducia nelle istituzioni, le pratiche di malaffare di certi circuiti politici e imprenditoriali.

E questo orribile intreccio contribuisce pesantemente a motivare la fuga di giovani dalla Basilicata. Ecco, noi dobbiamo imparare a criticare noi stessi, i nostri comportamenti e atteggiamenti di cedimento di fronte alle lusinghe del Potere, ai favoritismi, ai piccoli affari personali, ma non dobbiamo perdere di vista il  nodo di tutte le vicende: la politica del malaffare, le istituzioni corrotte, il sistema di potere sono i veri responsabili delle nostre condizioni. Ed è contro questo potere che bisogna fare fronte comune. Criticare il vicino raccomandato va benissimo, evitare di farsi raccomandare a nostra volta è doveroso, ma il problema sta più in alto.

Sciogliere un Comune per infiltrazioni mafiose

Dunque occorrerebbe più civismo, più coraggio e meno pregiudizi. Insieme a istituzioni più affidabili, una politica più autentica e credibile.

C’è un Comune in Basilicata, che chiameremo Pontepiano, la cui storia negli ultimi 20 anni almeno è segnata da fatti criminosi, da vicende malavitose e mafiose, nelle quali sarebbero spesso coinvolti politici, imprenditori, liberi professionisti, sportelli bancari. Un coinvolgimento coperto da quel sistema di potere che tiene insieme tutti i pezzi e che impone un certo clima di omertà.

Se ci fossero tutte le condizioni e si arrivasse a sciogliere per infiltrazioni mafiose un consiglio comunale, sarebbe una risposta eclatante –  dopo quasi tre decenni – e insieme una spinta energica al coraggio di parlare e di agire per la legalità. Quel coraggio ci aiuterebbe, nel tempo, a isolare da noi stessi gli stereotipi e i pregiudizi di natura antropologica che ancora indossiamo per necessità o per comodità. Nel frattempo basterebbe dare un colpo giudiziario più energico a quel mondo che i lucani percepiscono – a buona ragione – come un sistema di potere.