Morti in mare |
Interventi e commenti
/

Dopo l’ultimo naufragio dalla Basilicata un nuovo umanesimo per il Mediterraneo

26 luglio 2019 | 15:10
Share0
Dopo l’ultimo naufragio dalla Basilicata un nuovo umanesimo per il Mediterraneo

Don Cozzi: “Se ce l’avessero fatta forse avremmo assistito all’ennesimo teatrino di questa politica europea che ormai tratta le persone come oggetti”

L’ennesima strage. Fuggivano dall’inferno e sono morti in quell’inferno che è diventato il Mediterraneo. Erano in centinaia: uomini, donne, bambini. Non sappiamo chi erano: poveri o in fuga dalle guerre, ma forse anche avventurieri o delinquenti, potenziali terroristi o semplicemente persone in cerca di fortuna. E non cambia niente se sono morti in acque libiche piuttosto che in quelle italiane.

Non fa differenza. Sappiamo solo che erano esseri umani, e non ci piace un mondo nel quale si possa pensare che qualcuno la morte la meriti più di altri.

Se ce l’avessero fatta forse avremmo assistito all’ennesimo teatrino di questa politica europea che ormai tratta le persone come oggetti da ripartire sugli scaffali più disponibili, e forse avremmo ascoltato per giorni l’arroganza di chi pensa che c’è una dignità di serie A e una di serie B e che quella italiana appartenga alla prima.

Se ce l’avessero fatta, molti, col tempo e seppure con tanta fatica, si sarebbero integrati (ma nessuno ne parla e quando si costruiscono modelli di accoglienza vengono cancellati), altri sarebbero diventati delinquenti (e si sarebbe detto che quelli che vengono dal mare sono tutti spacciatori, stupratori, o che l’unica mafia in Italia è quella Nigeriana); altri ancora sarebbero diventati invisibili (ormai per legge) ingrossando le sacche illecite dell’accattonaggio, dello sfruttamento lavorativo e di quello sessuale. Sempre più redditizio quest’ultimo e con minori sempre più coinvolti, come ci dice “Save the children” nel Report pubblicato in queste ultime ore (e magari multiamole pure per colpire gli sfruttatori…).

Se ce l’avessero fatta si sarebbe rinfocolato ancora di più lo scontro fra gli ariani difensori dei sacri confini del Paese e delle sue radici cristiane e i sostenitori di un’accoglienza fatta certo sull’onda dell’emergenza ma spesso senza prospettive, senza futuro, senza un orizzonte politico che permetta di vedere i migranti solo come la punta di quell’iceberg che è questo sistema economico mondiale distorto che produce solo diseguaglianze, povertà, disperazione e quindi guerre fra poveri.

E invece non ce l’hanno fatta. Qualcuno dirà che è colpa di qualcun altro, le barricate ideologiche non cesseranno, la povertà continuerà ad aumentare in Italia come nel resto del mondo, e in attesa dei prossimi naufragi o dei prossimi sbarchi le agenzie di rating, piuttosto che i mercati o il valore dello spread, detteranno il livello di felicità e del progresso dell’umanità, alimentando così uno sviluppo economico che avrà sempre bisogno di un’area povera del mondo su cui sostenere l’altra parte; e se poi qualcuno, magari nero o arabo, “farà diventare urlo il proprio secolare silenzio”, o “trasformerà in bandiera i propri stracci”, come diceva don Primo Mazzolari, sarà necessario respingerli o peggio ancora farli morire in mare per tutelare la sicurezza pubblica.

Sessant’anni fa quel grande Sindaco di Firenze che fu Giorgio La Pira parlava del Mediterraneo come di “una sorgente inestinguibile di creatività, focolare universale dove gli uomini possono ricevere il calore della fraternità”, ed invece è diventato la tomba di tanti disperati ma anche della stessa civiltà occidentale.

È tempo questo di pensare ad un nuovo Umanesimo: ce lo chiede la storia, ce lo chiedono quei morti, ce lo chiedono le vittime di tratta che accogliamo e ce lo chiedono anche i tanti sovraindebitati di casa nostra che ascoltiamo tutti i giorni.

Perché non pensare la Basilicata, al centro geografico di questo sud che si staglia nel Mediterraneo, come il luogo nel quale ritornare a concepire questo grande mare come cerniera vitale di popoli che si confrontano e culla di un nuovo Umanesimo? Perché non pensare alla politica, alla Chiesa, alla società civile, al mondo della cultura di questa nostra regione, come i protagonisti di un grande laboratorio di riflessione comune per un cammino che inverta la rotta di questa società impazzita?

È tempo di profezia. È tempo di profezia dal sud.

Don Marcello Cozzi