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Anomalie nell’area del pozzo petrolifero San Fele 1

11 giugno 2019 | 12:03
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Anomalie nell’area del pozzo petrolifero San Fele 1

La segnalazione della docente universitaria Albina Colella: “Erba bianca e secca comparsa in concomitanza con il riattivarsi di una frana”

Poco a valle del pozzo petrolifero abbandonato, e non bonificato, San Fele 1, e in un’area con sorgenti adibita a pascolo di bestiame, recentemente è apparsa un’anomala area con erba secca bianca che lascerebbe pensare alla fuoriuscita dal sottosuolo del velenoso idrogeno solforato a seguito della riattivazione di una frana. A segnalarlo, con tanto di foto, è Albina Colella, Professore Ordinario di Geologia all’Università della Basilicata.

I pozzi abbandonati e/o incidentati -spiega la docente- possono inquinare gravemente l’ecosistema e in particolare le acque sotterranee, distruggere la vegetazione e causare problemi alla salute pubblica. Essi possono presentare perdite di petrolio greggio, gas e/o acque di scarto per mancata chiusura con cemento o metallica, per chiusure improprie, per rotture, per mancati controlli periodici o per altro. Anche nei pozzi ben sigillati il cemento dopo anni può fratturarsi e l’incamiciatura metallica può arrugginirsi; le perdite sotterranee possono rimanere ignote per anni, creando una potenziale fonte di disastro ambientale (Civita e Colella, 2015).

I pozzi abbandonati rappresentano una calamità ambientale di cui pochi si preoccupano e che in Basilicata è largamente sottovalutata e spesso del tutto ignorata, ma che può avere impatti drammatici sul territorio e sulla salute umana.

Recentemente -aggiunge la prof. Colella- alcuni cittadini attivisti del M5Stelle di San Fele, preoccupati, mi hanno segnalato una anomalia nel loro territorio invitandomi a fare un sopralluogo. Circa tre mesi fa hanno osservato un’area con una strana “erba bianca” nei pressi del pozzo petrolifero sterile e abbandonato San Fele 1, ubicato in località Perazze di San Fele, sotto il vicino Monte Santa Croce del cui permesso di ricerca (Monte Caruso) era titolare la Texaco.

Area pozzo (Foto 1)

Dal sopralluogo è emerso che si tratta di un’area molto circoscritta, estesa solo qualche metro quadrato, dove l’erba è diventata inspiegabilmente secca e bianca, mentre quella delle aree adiacenti è rimasta del suo colore naturale verde (Foto 2,3,4).

L’area con erba bianca (foto 2)

L’erba disseccata bianca (foto 3)

L’erba bianca disseccata (foto 4)

L’area anomala è ubicata poco a valle del pozzo San Fele 1 (Foto 1), in una zona in frana.

Degno di nota è il fatto che questo fenomeno è comparso in coincidenza con la riattivazione della frana a causa delle piogge della stagione autunnale-invernale. Ciò, unitamente alle dichiarazioni di cittadini e allevatori del luogo, indurrebbe a escludere che il fenomeno sia dovuto ad attività antropica, e in particolare a qualche sversamento sul terreno di sostanze dannose. Purtroppo non è stato fatto un campionamento del suolo e dell’erba poco dopo l’accaduto, cosa che certamente avrebbe facilitato la comprensione del fenomeno..

Ci sono tuttavia alcuni elementi interessanti da considerare- specifica la professoressa- legati alla storia del pozzo e al degrado dell’area.

Il pozzo San Fele 1 è ubicato in una zona in frana che molto probabilmente lo ha danneggiato, e che non è stata mai bonificata. Si tratta di un pozzo esplorativo per l’estrazione di petrolio, trivellato nel 1992-94 dalla Saipem (Gruppo Eni) che sarebbe arrivato a migliaia di metri di profondità senza trovare petrolio (si dice che, il petrolio, fosse qualche centinaio di metri più in profondità). Per problematiche tecniche il pozzo sarebbe stato velocemente abbandonato.

L’area del pozzo, dove compaiono ancora vasche danneggiate di cemento per la raccolta di fluidi, basamenti in cemento, strade di accesso alla postazione, ecc. , è diventata di libero pascolo per vacche podoliche (Foto. 1).

Il vicesindaco di San Fele Michele Pierri in una intervista a Radio Radicale del 2015 dichiarò che negli anni successivi all’abbandono del pozzo San Fele 1 gli allevatori del luogo segnalarono problemi di contaminazione delle acque delle sorgenti ubicate a valle del pozzo, esprimendo preoccupazione per gli scarti di perforazione. Nel 2016 Antonio Bavusi (Ola) parlò della presenza nell’area di “una inquietante sostanza di colore bianco di natura non identificata” (Corriere della sera);

Alla luce di quanto detto, oltre a segnalare il fenomeno viene qui suggerita una ipotesi sulla sua genesi, che è comunque da verificare. In pratica l’erba potrebbe essere stata disseccata in seguito a un’emissione di gas dal sottosuolo (probabilmente di idrogeno solforato), favorita dal movimento franoso e dallo sviluppo di fratture nel terreno che hanno costituito una via di fuga del gas fino in superficie.

Questa ipotesi è supportata dalle seguenti considerazioni che Colella espone in modo dettagliato:
erba secca con caratteristiche molto simili a quella di San Fele è stato documentata in Lettonia (Bog Forest, Kemeri National Park), a causa dell’azione velenosa dell’idrogeno solforato;

l’idrogeno solforato, che si trova anche nel petrolio e nel gas naturale, è più pesante dell’aria e spesso si accumula a livello del suolo dove migra, e nelle acque sotterranee. L’effetto sulle piante dell’idrogeno solforato non è acuto, ma cronico per la sottrazione di microelementi essenziali per il funzionamento dei sistemi enzimatici; rilasci di idrogeno solforato nell’ambiente possono avvenire in vari modi, tra cui perdite da pozzi petroliferi abbandonati;  ogni giorno nel mondo migliaia di pozzi petroliferi perdono petrolio e gas diffondendo inquinanti tossici nell’ambiente e causando danni. Nel 2008 ad esempio il gas proveniente da un pozzo abbandonato è andato a finire in un sistema di fosse biologiche in Pennsylvania (USA) ed è esploso, uccidendo una persona. L’US EPA ha stimato che il 17% dei pozzi abbandonati in terra negli USA sono stati impropria mente sigillati, e quindi presentano pericolose perdite di gas.

Nel caso del pozzo San Fele 1 -conclude la geologa- si deve tenere conto anche dell’aggravante che esso si trova in una zona in frana, che potrebbe essere stato deformato e che la sua incamiciatura metallica si potrebbe essere rotta.