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Cronaca
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Immigrazione, Brexit e integrazione europea: a che punto siamo?

27 maggio 2019 | 11:38
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Immigrazione, Brexit e integrazione europea: a che punto siamo?

Ne abbiamo parlato con Susanna Cafaro, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università del Salento

Con Susanna Cafaro, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università del Salento, avevamo già parlato di Europa e sovranismo in un’intervista del 17 maggio scorso. In questa seconda intervista con la prof. Cafaro puntiamo l’attenzione su temi importanti come immigrazione, Brexit e integrazione europea.

Si è parlato molto, negli ultimi tempi, di Regolamento di Dublino, a che punto è la sua revisione?

Purtroppo in questo momento è tutto bloccato e mi dispiace molto dirlo perché c’era stata una bella proposta di revisione della Commissione Europea che era stata ulteriormente migliorata dalle proposte del Parlamento Europeo. Il Regolamento di Dublino è importante perché stabilisce chi prende in carico il migrante che sbarca. Purtroppo, essendo stato scritto molti anni fa, quando era ancora una Convenzione internazionale, poggia sulla premessa che il Paese di prima accoglienza sia quello che deve occuparsi, burocraticamente, della gestione della domanda d’asilo. Da molti anni, ormai, nata l’emergenza migratoria, si era inteso che questo sistema non potesse funzionare i quanto lasciava il 90 % del carico sui paesi frontisti (Italia, Grecia e Spagna) che si affacciano sul Mediterraneo. La proposta di modifica, così come era stata emendata dal Parlamento, prevedeva una ripartizione di pesi tra i vari stati dell’Unione. Per cui, non solo il migrante che avesse già parenti in un altro paese vi veniva immediatamente dirottato, ma veniva introdotto un tetto massimo di migranti di cui occuparsi: superato tale numero era previsto uno spostamento verso altri Paesi o un rimborso da parte degli altri partner europei per lo sforzo ulteriormente compiuto. Un Regolamento che andava nella nostra direzione e che noi italiani avremmo dovuto sostenere a spada tratta. Purtroppo essendo il Parlamento in scadenza, è probabile che l’Assemblea che uscirà dalle urne il 26 maggio dovrà occuparsene ex novo, a partire dall’autunno. Noi eleggiamo il nuovo Parlamento che si insedierà a ottobre e il suo primo atto sarà quello di dare la fiducia alla nuova Commissione che viene proposta dal Consiglio europeo (vertice dei capi di governo europei). Il Presidente della Commissione viene nominato in base agli esiti delle consultazioni europee di maggio, rispettando la maggioranza politica che ne scaturirà e poi, il Consiglio europeo designa gli altri 26 commissari (o 27, in base all’epilogo della faccenda Brexit) e la Commissione, nel suo insieme, deve ottenere la fiducia del Parlamento Europeo, per insediarsi. Solo a seguito di questi primi atti, inizierà a riattivarsi il processo legislativo con le nuove proposte.

Visto il suo riferimento alla “Brexit”, come si potrebbe superare in modo costruttivo questa fase di centrifugazione che pare essersi avviata proprio con la Gran Bretagna?

A me sembra che la vicenda Brexit dimostri, più di quanto possano farlo dei manifesti elettorali, quanto il nazionalismo sia perdente. Per la Gran Bretagna, questa Brexit è una débâcle, sotto molti punti di vista, non solo politico perché la classe politica non è riuscita a concludere un accordo sull’uscita e quindi ancor più manca un accordo su ciò che verrà dopo. Soprattutto, ha dimostrato che ci son seri danni economici stando fuori dalla UE. Anzitutto, c’è una perdita di investimenti perché molte aziende vogliono stare nella UE, che è un grande mercato con quasi 500 milioni di abitanti. Star fuori significa pagare dazi per portare i prodotti dentro quel mercato comune continentale. Quindi molte aziende hanno spostato la sede, addirittura quella principale. Ciò vale anche per i prodotti finanziari. Quindi una bella botta anche in borsa. È stata una sconfitta per la ricerca, in quanto molte attività erano finanziate da programmi europei, ma anche per la circolazione degli studenti e degli studiosi, che adesso è a serio rischio. Sembra già assodato che gli studenti europei dovranno pagare le stesse tasse dovute dai cittadini di paesi terzi che, per università prestigiose come Oxford e Cambridge, si aggirano intorno alle 30000 sterline per anno. Finora, gli studenti europei ne pagano circa 9000, come gli inglesi, per il principio di non discriminazione che vale fin quando la Gran Bretagna resta nella UE. Questo ha determinato anche una gravissima incertezza sulla pacificazione dell’Irlanda. In molti non si erano accorti che tale processo era passato attraverso l’integrazione britannica nella UE.

Con gli accordi di Schengen si era cancellata di fatto la frontiera nord irlandese e questo aveva posto fine al terrorismo che ha mietuto tante vittime sino a quel momento. Uno dei temi caldi della Brexit, nell’accordo di uscita era proprio quello di mantenere una frontiera privilegiata con l’EIRE, per evitare la riaccensione delle tensioni. Su questa cosa il Parlamento britannico non ha trovato accordo. Questo è stato uno dei motivi per cui l’accordo non si è approvato. Una paura è quella che l’Irlanda del Nord, forte dei rapporti privilegiati con l’EIRE e la UE, possa decidere di staccarsi per integrarsi nella Repubblica irlandese. Anche questo timore ha mantenuto all’impasse. Questo è un piccolo caso ma un’ottima metafora di come l’Unione Europea sia riuscita nel tempo ad abbassare le frontiere, a creare un grande mercato a beneficio di tutti i produttori e consumatori europei (prezzi migliori grazie all’assenza di dazi doganali, maggiore competitività delle aziende, pacificazioni che hanno favorito gli scambi). Se posso fare un ulteriore esempio, nella mia esperienza di docente universitario, l’esempio migliore di come si diventi davvero cittadini europei è il Progetto Erasmus. Non conosco nessun europeista più convinto dei ragazzi che tornano dall’esperienza dell’Erasmus. Loro hanno toccato con mano cosa davvero significhi essere cittadini europei.