La generazione del treno |
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Noi giovani lucani siamo stufi di essere valore aggiunto in posti lontani

1 maggio 2019 | 10:15
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Noi giovani lucani siamo stufi di essere valore aggiunto in posti lontani

Non è la nostra generazione ad aver fallito ma quella dei nostri genitori, incapace di mostrarci una via, di indicarci il futuro.  

Il primo maggio di quest’anno rappresenta il giorno di eclissi di un lungo periodo festivo che ha compreso Pasqua ed il 25 aprile. Mai come in questo caso, il calendario ha scherzato con il primo maggio rendendolo l’emblema del ritorno al lavoro, piuttosto che giorno di riposo e riflessione, per tutti quei giovani lavoratori fuori sede che hanno sfruttato le festività per riabbracciare i propri cari. In viaggio per tornare a Roma ho pensato a tutti i modi con i quali la nostra generazione è stata chiamata e mi è venuta voglia di inventarmi un nome: generazione treno.

Perché si, noi siamo la generazione di lavoratori e neolaureati che fa davvero tanta fatica a trovare uno spazio a casa propria a causa di tutti quei fattori che troppo spesso sentiamo ripeterci come litanie ma che non trovano mai una risoluzione tangibile. E allora ci ritroviamo a spendere parecchia della nostra vita su treni, autobus, macchine condivise. Se sommiamo tutte le ore spese in questi viaggi interminabili verso casa, su binari vecchi, bus sgarrupati o su treni così costosi che “maledetta Trenitalia” – meglio non pensare ai soldi spesi – forse ci ritroviamo ad aver accumulato 10-15 giorni di viaggi per il rientro. E io ricordo nitidamente i pensieri confusi che ogni volta elaboro mentre sono in viaggio per tornare in Basilicata ma soprattutto mentre macino chilometri e ho casa ormai alle spalle.

Ci ritroviamo spesso su quelle poltrone striminzite, con le cuffiette e gli occhiali per nascondere espressioni infelici, a pensare che forse siamo solo dei codardi. Che dovremmo avere gli attributi di tornare a casa e inventarci qualcosa così, da zero, per la nostra città, per poter vivere vicino ai nostri cari, perché malgrado tutto casa nostra ci piace tanto. Ti senti in colpa perché vedi uno su cento che ci è riuscito, magari perché ha una famiglia che può sostenere degli investimenti o perché ha alle spalle una attività professionale messa in piedi dai genitori o dai nonni.

Finito il viaggio arrivi nella tua casa condivisa, nella tua stanza spesso troppo costosa in una città che non senti tua e ci dormi sù dopo aver sistemato i ‘boccacci’ in credenza che ti daranno l’illusione di casa – quella vera – ancora per qualche giorno. La mattina dopo ricomincia la vita del lavoratore fuori sede e tutti i pensieri fatti in viaggio vengono archiviati; perché alla fine fai un lavoro che ti piace che a casa tua non avresti mai trovato.

Ecco, io voglio dire a tutti noi che non è colpa nostra. Non è colpa nostra se non abbiamo le possibilità economiche di inventare qualcosa dal nulla nella nostra terra. Non è colpa nostra se il lavoro semplicemente manca, non è colpa nostra se questo Governo non ha fatto nulla per il lavoro: nessun turn over in pubblica amministrazione, nessun investimento sulla ricerca, nessuna grande opera realizzata. Non è colpa nostra se la produzione in Fca a Melfi è ferma e non è nemmeno colpa nostra se le uniche direttrici di sviluppo in Basilicata sono l’automotive ed il petrolio. Maledetto petrolio. Non è colpa nostra se non siamo stati messi nelle condizioni di svolgere un ruolo da protagonisti. Non è colpa nostra ma non per questo dobbiamo rassegnarci !

È nostro dovere lottare affinché queste condizioni cambino. È nostro dovere vigilare, stare attenti. Bisogna uscire da questa bassa risoluzione nella quale ci sentiamo bloccati. Dobbiamo smettere di sentirci “altrove” ma reclamare la nostra condizione di precarietà geografica e del lavoro che non ci permette di creare sviluppo a casa nostra, non ci permette di avere un programma di vita, comprare una casa o di assistere i nostri genitori nell’anzianità.

Dobbiamo sforzarci di far capire a chi ci governa, ma anche a chi incontriamo per strada, che è da folli continuare a pensare che la priorità per l’Italia è quella di cacciare gli immigrati. La vera priorità è riuscire a non perdere le migliori risorse delle nostre realtà: medici, laureati, manodopera professionalizzata, ristoratori, camerieri.

Siamo la generazione con i salari inferiori del 36% rispetto a quelli dei nostri genitori. Siamo quelli dei tirocini a 300 euro al mese quando va bene o quelli della pratica forense gratuita. Questo ci rende la classe sociale più fragile dopo i migranti considerando che, quasi sempre, non abbiamo nessuna proprietà immobile.

È questa la nostra condizione sociale, nonostante il nostro livello di formazione è nettamente superiore a quello dei nostri genitori. Abbiamo viaggiato di più, scoperto di più, letto di più ed anche sofferto di più malgrado troppo spesso e troppo comodamente ci fanno credere altro, chiamandoci mammoni o bamboccioni.

Non è la nostra generazione ad aver fallito ma quella dei nostri genitori, incapace di mostrarci una via, di indicarci il futuro.  

Questo primo maggio deve essere l’occasione per esigere attenzione. Siamo stufi di sentirci spiriti scoloriti che creano valore aggiunto in posti lontani. Vogliamo poter contribuire allo sviluppo del nostro territorio, vogliamo diritti e giustizia sociale, vogliamo il lavoro.

Basta treni carichi di futuri incerti. È il tempo della locomotiva per la lotta.

Raffaele La Regina