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La Basilicata tra petrolio, scorie e discariche

30 aprile 2019 | 15:07
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La Basilicata tra petrolio, scorie e discariche

L’ultima inchiesta per disastro ambientale e il mutismo selettivo della nuova classe dirigente

L’arresto del dirigente Eni, ora ai domiciliari, ha riaperto, anche a livello nazionale, il dibattito sullo sfruttamento del sottosuolo lucano da parte delle multinazionali petrolifere.

L’arresto è arrivato dopo che la magistratura, dopo aver svolto delle accurate indagini, ha appurato che la cattiva gestione degli impianti e delle cisterne in cui è custodito il petrolio, ha provocato lo sversamento di 400 tonnellate (secondo l’Eni) di greggio nelle falde acquifere lucane.

L’indagine ha avuto inizio allorquando, nel 2017, alcuni rilevamenti eseguiti nei pressi dell’area industriale di Viggiano portarono alla scoperta di una nutrita quantità di idrocarburi nel depuratore. Successive perizie eseguite in loco e nei pressi degli impianti del C.O.V.A. da parte dei carabinieri del Noe hanno portato alla luce una realtà inquietante.

Il guasto delle cisterne (due secondo Eni, quattro per la magistratura) avrebbe provocato un vero e proprio disastro ambientale. Si parla della compromissione di 26mila metri quadri di suolo e sottosuolo dell’area industriale di Viggiano e del reticolo idrologico a valle di un impluvio, nonché contaminato il reticolo idrografico della Val d’Agri. Così facendo si è creata una situazione di pericolo anche per la diga del Pertusillo, la quale è uno dei bacini idrici più importanti del Mezzogiorno. L’invaso, il quale approvvigiona oltre 4 milioni di persone, è anche la fonte primaria di consumo e irrigazione della Puglia centromeridionale.

Tutto ciò è avvenuto senza che l’Eni comunicasse le perdite alle autorità. Successivamente si scoprirà che anche queste, a livello locale, sapevano e non hanno agito di conseguenza. Il CTR (Comitato tecnico regionale) era a conoscenza dei soprusi della multinazionale e aveva il compito di vigilare, ma non l’ha fatto.

Eni sapeva. La multinazionale ha agito secondo una precisa strategia per nascondere i gravi problemi degli stabilimenti e le relative conseguenze. Hanno agito senza tenere conto delle istanze popolari e della tutela ambientale, distruggendo consapevolmente tutto ciò che li circondava.

A far riflettere, il fatto che non solo i vertici dell’Eni ne erano a conoscenza ma anche un organismo pubblico, il quale è giusto ripeterlo, aveva il compito di controllare l’attività estrattiva. Tale organismo, a conoscenza dei problemi delle cisterne, dopo qualche “monito” avrebbe dovuto intervenire, invece, non l’ha fatto.

Ancora più spaventosa è come la spietata politica industriale ed economica di Eni, condivisa con la sede centrale di Milano, sia stata del tutto inumana, indifferente a quanto stava accadendo. Tutto per il vil denaro. Il menefreghismo cronico dei dirigenti che per qualche milione in più hanno attentato alla vita non solo dell’ambiente circostante ma anche a quella degli abitanti, fa comprendere quanto nell’era del capitalismo l’interesse per le istanze produttive superi di gran lunga quello per la “morale”, che non genera profitto.

Chi sapeva, e aveva una coscienza a portata di mano, è stato messo a tacere. Come l’ingegnere Griffa, responsabile dello stabilimento fino al 2013 e poi, dopo la sua scomparsa, trovato morto suicida.

Un“sacrificio” ambientale, quello lucano, perpetrato anche dalla politica, e quindi dai governi di centrosinistra coadiuvati da chi a Roma, per puro interesse, voleva trivellare la Basilicata a più non posso proponendo decreti ed emendamenti per triplicare la produzione. Dal Governo Berlusconi, che non ha mai nascosto il suo interesse per il petrolio lucano, al Governo Renzi e al suo Sblocca Italia, che ha consegnato gran parte della regione ai cercatori di fortune togliendo alle giunte il potere di decidere il destino della propria terra. Il tutto tacitamente accettato da coloro che sedevano nei luoghi di potere della regione.

Ma, ultimamente, non è soltanto il petrolio a tormentare il sonno dei lucani. Stando ai dati raccolti dall’ISIN, l’Ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione ci sarebbe più materiale radioattivo di una centrale atomica. Senza parlare poi delle discariche “non a norma” (23 in totale) che hanno comportato il deferimento dinanzi alla Corte di Giustizia UE.

Un altro elemento da sottolineare è il mutismo selettivo della neonata classe dirigente, uscita dalle urne del 24 marzo. Il governatore Bardi, fresco di vittoria, ha preferito tacere sul caso Eni, non prendendo nessuna posizione. L’impressione è che Vito Bardi non abbia alcun interesse a rilasciare dichiarazioni perché il partito, Forza Italia, ne l’abbia impedito. Si tratta del classico caso di “candidato apolitico” guidato dal partito, il quale, è utile ripeterlo, non ha nessun interesse a fermare le trivellazioni. Né lui, né tantomeno Matteo Salvini, suo alleato. Si spera che questa impressione possa venir smentita nel più breve tempo possibile.

Tra petrolio, scorie e discariche, la Basilicata sembrerebbe essere diventata una sorta di scantinato, dove chiunque si sente in diritto di sfruttare, maltrattare e buttare ciò che non serve. Senza tener conto della presenza di mezzo milione di esseri umani, i quali si trovano costretti, ogni giorno, a lottare contro le ingiustizie di chi, in barba al diritto alla salute costituzionalmente garantito, pensa solo al proprio profitto.

Donatello D’Andrea, blogger