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Basilicata europea. La quiete prima della tempesta

12 aprile 2019 | 10:57
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Basilicata europea. La quiete prima della tempesta

Il voto lucano sancisce il definitivo spartiacque tra le elezioni regionali e quelle europee del 26 maggio

Dopo i caroselli delle scorse settimane, a mente fredda, è giunto il momento di tirare le somme sul voto lucano, il quale, sancisce il definitivo spartiacque tra le elezioni regionali e quelle Europee del 26 maggio.

Come ben si sa, il centrodestra, dato come possibile vincitore, non ha tradito le attese e al di là di ogni ragionevole dubbio ha sbaragliato la flebile concorrenza del centrosinistra e la voglia di rivincita del Movimento Cinque Stelle, e si è preso la regione.

Vito Bardi, il quale “non vedeva” la Basilicata da tempo immemore (aveva la residenza a Napoli) è il nuovo governatore. Recentemente, in un’intervista ad Antonello Caporale (Il Fatto Quotidiano), ha dichiarato che comporrà la giunta regionale (ridotta da 30 a 20 membri per modifiche elettorali relative al numero di abitanti, in netto calo da almeno un decennio) “guardando le facce”, riducendo la politica al più semplice dei giochi di società. Dunque, non saranno più gli obsoleti curriculum a decidere se si possiedono competenze amministrative ma una buona pettinatura e un bel sorriso stampato sulla faccia – una pulizia del viso è espressamente richiesta – (un modello “Monza”, degno del capo politico della fazione che l’ex generale rappresenta).

Il 2019 sembrerebbe essere “l’anno di grazia” del centrodestra. Abruzzo, Sardegna ed ora l’impensabile Basilicata finiscono sul taccuino delle regioni conquistate. Vittorie che hanno permesso ai conservatori di portarsi in vantaggio nella perenne lotta delle regioni controllate (11 a 9). Un modello elettorale, quello adottato da Salvini & Co, che sembrerebbe funzionare. Un connubio, quello di destra, che ha portato i suoi frutti sbaragliando il derelitto centrosinistra, che ha incassato una sconfitta storica, e il confuso Movimento Cinque Stelle che può solamente consolarsi con una “vittoria morale” che, per qualche strano gioco “astrale”, non permette di governare in solitaria.

Il centrosinistra, dal canto suo, si trova a dover fare i conti con l’ennesima sconfitta plateale che, questa volta, non è stata mitigata dall’ottimo lavoro delle liste civiche. La distanza con Vito Bardi è stata incolmabile. Le 7 liste collegate al Partito Democratico (inclusa quella di Pittella), non sono riuscite a contenere l’emorragia di voti in uscita. Con il 7,7% i dem hanno malamente incassato la più grande sconfitta elettorale in terra lucana. Addirittura, la lista di Marcello Pittella (Avanti Basilicata) è riuscita nell’impresa di riprendersi un‘agrodolce “rivincita” nei confronti di coloro che hanno rifiutato di candidarlo, affermando la propria “presenza” sul territorio con l’8,6% e risultando, addirittura, il candidato più votato con più di 8000 preferenze.

Il Movimento Cinque Stelle, invece, dato come il possibile inseguitore del centrodestra, si è dovuto accontentare della medaglia di bronzo. Seppur consolandosi con lo slogan “lista più votata”, sicuramente i grillini nutrivano più fiducia nei confronti degli elettori lucani che, invece, hanno preferito accreditare la propria fiducia alla “ditta” di Matteo Salvini. Di Maio ha molto da farsi perdonare, alcuni errori che non sono passati inosservati, almeno agli occhi degli elettori più attenti. Dal problema dei candidati semi-sconosciuti (esclusi i due-tre nomi più illustri) a quello del concorrere da solo in una regione, non comprendendo che il voto nazionale è ben diverso da quello locale. Occorrono candidati ben radicati sul territorio, i quali possono davvero contribuire a spostare gli equilibri elettorali, soprattutto in una regione come quella lucana dove il malcontento è facilmente catturabile, come ha dimostrato l’esperto volpone e Ministro dell’Interno.

Inoltre, la cosa che più preoccupa, è lo stato di forma dello stesso Movimento. Ad un mese dalle Elezioni Europee solamente il centrodestra sembrerebbe presentarsi nel miglior stato di forma possibile. Matteo Salvini, dopo aver concluso alcune “alleanze sovraniste” per sbaragliare l’ancien régime (di cui inconsapevolmente fa parte), ha aperto la campagna elettorale con alcune deplorevoli dichiarazioni sullo scontro “fascisti-comunisti” (chiaro riferimento alla sua non partecipazione alle doverose celebrazioni del 25 Aprile) e con una stoccata a Di Maio che, facendogli notare la pericolosità delle sue alleanze, ha messo in luce, ancora una volta, gli scricchiolii di questa “strana maggioranza”.

Dall’altro lato del fronte, il centrosinistra si presenta, ancora una volta, diviso e spaesato. Sembrerebbe che le batoste elettorali, maturate anche a causa della forte rivalità tra le varie componenti di partito (di renziana memoria), non abbiano sortito l’effetto conciliante che tutti si aspetterebbero. Il Partito Democratico targato Zingaretti, tra una dichiarazione imbarazzante e l’altra, si crogiola con quel 2-3% in più che i sondaggi gli attribuiscono; Più Europa, di Emma Bonino, ha rifiutato l’alleanza con i dem e si è rivolto ai vari movimenti progressisti che stanno proliferando a destra e a manca, Partito Socialista (esiste ancora?) compreso. Il messaggio di Carlo Calenda, “Siamo Europei”, sembrerebbe essere finito definitivamente nel dimenticatoio, come tutti gli slogan lanciati dal Partito Democratico e a cui nessuno crede più.

La quiete prima della tempesta. Le elezioni lucane sono state fondamentali per comprendere il livello di preparazione dei partiti italiani. La mastodontica campagna elettorale di Matteo Salvini, il quale prima del 2018 non conosceva nemmeno la posizione geografica della Basilicata, è la fulgida dimostrazione di una “campagna preventiva” condotta per ottenere un doppio risultato: il voto lucano e una “promessa di voto” per le Europee. La costante presenza sul territorio, volta a dimostrare la vicinanza delle istituzioni ai cittadini, è una strategia politica che sta pagando, anche più del dovuto.

E durante questa “quiete”, lo stato di preparazione dei partiti è evidente. Solo la Lega sembrerebbe essere pronta a dare battaglia. Il Movimento Cinque Stelle, tra una dichiarazione al vetriolo e l’altra, dovrà dimostrare tutta la sua forza a livello nazionale, smentendo anche i sondaggi che, per qualche “assurda ragione”, lo pongono come terza forza politica nazionale, dietro a Lega e PD. La speranza, per gli elettori e i dirigenti di partito, è quella di non dover ricorrere ad un pallottoliere che conti “i goal” di differenza con l’amico-nemico-alleato di governo. Ciò che Di Maio auspica è uno scontro ad armi pari, il quale però richiede una preparazione adeguata che vada oltre gli slogan e il già “invecchiato” reddito di cittadinanza. Gli interventi di governo sulla giustizia, ad esempio, meriterebbero più visibilità mediatica.

Tutto questo è ciò che le elezioni regionali di Basilicata, un luogo sconosciuto anche agli stessi politici, ha fatto emergere. Un test elettorale che, per blasone e risultati, in un altro momento storico non avrebbe destato né clamore né tantomeno interesse, ora si trova a dover fare addirittura da spartiacque tra due momenti storici importanti: quello del liberalismo che, fino ad ora, ha caratterizzato la vita politica europea, e quello del sovranismo, il quale dopo aver sbaragliato i nemici a livello locale, aspira a prendersi l’intera Europa.

La quiete prima della tempesta.

Donatello D’Andrea, blogger