Vite in viaggio |
L'opinione
/

Nessuno, più di un pendolare, può capire il valore di un quarto d’ora in più su un treno

30 marzo 2019 | 10:39
Share0
Nessuno, più di un pendolare, può capire il valore di un quarto d’ora in più su un treno

Si impara a riconoscere i treni dai colori, dai rumori a bordo

Quello del pendolare ferroviario è uno stile di vita con cui si prende confidenza poco alla volta. Si impara a riconoscere i treni dai colori, dai rumori a bordo. Ho percorso la mia tratta su tutte le tipologie di convogli (o “materiale”, come lo chiamano gli addetti).

I treni che viaggiano in Puglia hanno circa vent’anni, in media. Quindi ne hanno da raccontare, di bagagli e di vita, trasportati su sedili e cappelliere. Alla lunga, si impara a riconoscere la tipologia del viaggiatore dal modo in cui si approccia al budello angusto della carrozza. Quando vedo arrivare le coppie di anziani che parlano poco, coi bagagli pesanti, riconosco, dagli occhi, se trasportano un dolore tra due ospedali dello Stivale o se, invece, smorzano la propria malinconia andando a cercare un figlio lontano. Mi scusi è questa la carrozza 6? È questo il treno per Milano? Mi darebbe una mano col bagaglio?

Ci sono pendolari che viaggiano per 10, o 15 anni di fila, facendo la spola tra Lecce e Bari o Foggia per conciliare affetti e lavoro dentro il tempo di una sola giornata, un posto di lavoro in azienda e un bacio la sera, tornando dalla compagna o dai propri figli. Nessuno, più di un pendolare, può capire il valore di un quarto d’ora in più su un treno. Uno di loro mi ha dato uno strappo fino a casa, l’ultima sera in cui ha viaggiato. Forse provava persino nostalgia per quella vita che avrebbe abbandonato, dopo ben tre lustri. Finalmente lo avevano trasferito e sarebbe uscito da quella moltitudine silenziosa, proteiforme e provvisoria che ogni giorno, sui binari, dà vita a una comunità ambulante, del tutto sui generis.

Della comunità pendolare entrai a far parte un giorno in cui sul regionale aveva preso fuoco una carrozza. Il treno si era fermato nelle campagne nei pressi di Monopoli e conobbi alcuni di loro. Ci raccontammo un pezzo di vita a testa, per non pensare al ritardo. Si era rotto il silenzio delle mie oscillazioni solitarie. Ero diventato membro di una comunità, senza saperlo. Il ritardo va messo in conto, nella vita del pendolare; va anticipato, addomesticato. Così come la possibilità di recuperare una mezzora di riposo, o di lavoro, mentre si viaggia.

Il viaggiatore abituale la mattina è silenzioso, non urla al telefono, usa le cuffie per guardare i video, non schiamazza coi propri amici: sa bene che altri viaggiatori, forse, hanno bisogno di recuperare il sonno perduto per arrivare in tempo in stazione. Alcuni partono da paesi lontani dalla stazione. Sa come vestirsi, un pendolare, per far fronte alle mirabolanti escursioni termiche del climatizzatore di bordo, che spesso dà di matto, nonostante la disponibilità del capotreno a regolare i termostati. I viaggiatori occasionali, invece, se sono in gruppo, spesso si comportano come liceali in gita, senza freni inibitori.

I pendolari della tua stessa tratta impari a conoscerli nel tempo, abituandoti ai loro visi, incrociati ogni giorno sul binario, in attesa che arrivi il treno. I meno diffidenti li conosci presto e ci scambi due chiacchiere e una stretta di mano. Gli altri si aprono col tempo. Tra pendolari ci si saluta anche sul treno, cercando il posto: ci si siede dove capita, per stare insieme ad altri incontrati per caso o per ritagliarsi uno spazio di tranquillità. Pian piano, si entra nelle porte socchiuse lasciate dalle nostre piccole storie.

C’è la precaria che lavora all’università o in azienda, i cui occhi si illuminano quando racconta dei propri piccoli e ne scorre, parlandone, le immagini su uno schermo. Ogni tanto, chiama la mamma che li tiene per lei, mentre lavora. C’è lo studente che ripete gli appunti di anatomia, mangiandosi nervosamente le unghie. Il manager che ascolta le nostre battute sornione e ogni tanto approva tradendo il silenzio con un gesto del capo. Ci sono i tecnici che affrontano la ruvida routine con qualche battuta frizzante. Ecco l’insegnante che racconta al telefono le angherie di una dirigente scolastica troppo zelante e un magistrato silenzioso, che senz’altro ci ascolta, ma non tradisce la minima emozione dietro i suoi occhiali con la montatura scura.

Dopo anni di consuetudini umane, decifri la giornata dei compagni di viaggio con uno sguardo e impari a isolarti, nella carrozza in fondo, quando la tua è andata da schifo. Ci sono anche i bei momenti, come l’aperitivo prenatalizio, per scambiarsi gli auguri, con una birra e due patatine al bar del treno. “Scusateci, non abbiamo nulla di più da vendervi perché scarichiamo tutta la merce a Bari: a Lecce non ci sono spazi per conservare gli alimenti durante la notte”. Speriamo che le cose siano cambiate, da allora. Fa niente: ci si scambia gli auguri lo stesso e si pensa all’anno che verrà. Se tutto andrà bene, si salveranno contratti di lavoro e abbonamenti.

In Puglia, abbiamo costituito un Comitato Pendolari, dapprima creando una pagina Facebook attraverso la quale diffondere comunicati e informazioni utili (o almeno ci si prova). Poi, in occasione della riorganizzazione degli orari dei treni abbiamo dato vita a un gruppo Whatsapp/Comitato con cui concordare la linea da tenere, votando e contribuendo alla redazione dei comunicati. Con un approccio rigorosamente collegiale.

Quando alla fine di novembre sono stati soppressi diversi treni Frecciabianca e molti di noi hanno rischiato di dover sottoscrivere abbonamenti alta velocità con aggravi di spesa molto (troppo) significativi, quella comunità silenziosa si è attivata dando luogo a un brulicare di discussioni e confronti. E raccolte spontanee di centinaia di firme. Un esperimento forse inedito, da noi, di militanza pendolare multimediale.

Il dialogo attivatosi con Trenitalia ha anche sortito gli effetti sperati, grazie alla disponibilità all’ascolto della controparte aziendale ma anche alla meritoria attenzione dei giornalisti, che ci hanno prestato ascolto, amplificando la voce nel modo più opportuno. Quel corpo, prima silenzioso, ha iniziato a parlare, dalla frontiera frastagliata di mille storie diverse. Se un meccanismo virtuoso simile può innescarsi in treno, perché non fuori? Si è cittadini/utenti in molti contesti: è fondamentale farsi massa critica.

Un caro saluto a tutti i viaggiatori, ricordando una regola aurea, espressa nell’omaggio in versi di Vivian Lamarque a Giorgio Caproni: Se sul treno ti siedi al contrario/ con la testa girata di là/ vedi meno la vita che viene /vedi meglio la vita che va.