La Basilicata analfabeta e il peso morto della storia
Il voto del 24 marzo ci consegna una società che si muove senza spostarsi
E ora tutti a recriminare sul fatto che la Lega ha invaso e occupato la Basilicata. Tutti indignati, tranne gli elettori del centrodestra naturalmente, per causa di un “popolo di pecore”. Prendersela con gli elettori quando votano contrariamente alle nostre aspettative è lo sport più diffuso nel dopo voto. E’ una semplificazione comoda e in alcuni casi necessaria.
Cerchiamo di capire sul piano sociale che cosa potrebbe essere accaduto in queste elezioni regionali. Dico subito che non è successo nulla di diverso dalle precedenti. Buona parte dei lucani ha votato il centrodestra mantenendo le stesse basi motivazionali di quando ha votato per il centrosinistra. Se non mutano le motivazioni sociali di base il cambiamento, quello vero, è impossibile. Siamo fermi come su una sedia a dondolo. Ci muoviamo senza spostarci.
Partiamo da quella che definiamo “base sociale del consenso”. Chi sono gli elettori lucani? In una regione dove quasi il 50% delle persone è analfabeta funzionale, la base sociale del consenso è qualitativamente scarsa. Che cosa significa qualitativamente scarsa? Vuol dire che il cittadino non ha gli strumenti intellettuali per distinguere il buono dal cattivo, una proposta seria da una farlocca, un personaggio ambiguo da una persona per bene. Non ha gli strumenti sufficienti per interpretare in modo corretto un testo, un ragionamento, un discorso. Vuol dire che ha una capacità critica, nel senso dialettico, pari a zero. Soprattutto, vuol dire che semplifica fatti e accadimenti e si fida esclusivamente della propria percezione intorno alla quale sviluppa un ragionamento rozzo che la confermi. “E’ un amico”, “Mi ha aiutato in ospedale”, “Mi piace come parla”, “Ci difende dagli immigrati”, e così via, sono semplificazioni che consentono a tutti di motivare una decisione, altrimenti irragionevole.
Ora, sarebbe complicato qui spiegare le ragioni di tanta scarsità. Concentriamoci sull’affermazione che “una base sociale del consenso di scarsa qualità, genera rappresentanti eletti di scarsa qualità e istituzioni scadenti.” E questo accade da sempre, soprattutto nei territori non a caso più poveri, e non solo del Mezzogiorno.
Forzando un po’ la mano e semplificando a mia volta, diciamo che almeno il 50% del voto espresso non è un voto di opinione qualificata. Eppure, è proprio questa tipologia di voto a influenzare nettamente l’esito elettorale. A questo 50% dobbiamo aggiungere una parte di elettorato che, seppure alfabetizzato, organizza il consenso sulla base degli interessi personali o corporativi. Questa tipologia di voto che possiamo definire dei “grandi elettori” è quasi sempre in grado di mobilitare consenso a proprio vantaggio in quel 50% e di drenare ulteriore consenso nella fascia più alfabetizzata dell’elettorato.
Dunque, non è con gli elettori che dobbiamo prendercela se non votano secondo le nostre aspettative ma con la loro incapacità di scegliere in base all’interesse generale. E questa incapacità deriva dal fatto che siamo una società egoista nella quale ognuno egoisticamente si adatta. E perché questo? Per tante ragioni, anche storiche, tra le quali la cattiva pedagogia di una politica che ha alimentato e continua ad alimentare comportamenti familistici e sub culture di evolute “comunità tribali”. Ora viene da sé che quella politica ha bisogno di quelle comunità e viceversa. Una sorta di circolo vizioso che nessuno al momento è riuscito a spezzare.
Che fare? Sarebbe facile proporre l’idea per cui solo la cultura potrà salvarci. Eppure, è solo da una qualificazione della base sociale del consenso, da una crescita della sua qualità, che passa il cambiamento reale, in meglio, delle condizioni civili ed economiche di un territorio. Cittadini intellettualmente e culturalmente attrezzati eleggono rappresentanti all’altezza delle sfide di qualità. E quando dico “cultura” non lo dico in riferimento alla sola istruzione ma soprattutto in riferimento alla qualità della dotazione simbolica degli individui e delle comunità. Vale a dire la capacità di leggere e interpretare fenomeni politici, sociali, economici. La capacità di leggere e interpretare discorsi pubblici e di accedere con cognizioni di causa alle decisioni pubbliche.
Perché ciò accada è necessario, combattere sia la pedagogia della cattiva politica, sia il partitismo amorale, sia la sub cultura delle comunità tribali. Gli intellettuali, i giornalisti, i cittadini più consapevoli che tollerano la cattiva politica in nome di un malinteso senso della democrazia, non sono tolleranti, sono indifferenti. E questa indifferenza, lo dico con Gramsci, è il peso morto della nostra storia.