Aumento canoni titoli minerari: “Si tenta di fare disinformazione”

28 novembre 2018 | 11:09
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Aumento canoni titoli minerari: “Si tenta di fare disinformazione”

Materdomini sul provvedimento firmato da Liuzzi

Ancora una volta in Basilicata, si tenta di fare disinformazione sulla questione petrolio e sulla proposta del m5s di aumentare i canoni sui vari titoli minerari. Chiedendo che si aumentino le royalties e non i canoni dei titoli minerari, che in sostanza sono le superfici di suolo pubblico occupate dalle società minerarie. In genere sono diverse centinaia di chilometri o di miglia marine quadrati.

Con i vecchi costi, che andavano da un minimo di 3 euro al km quadrato, a un massimo di 88 euro, a seconda dell’attività industriale in atto, se prospezione sismica, se permesso di ricerca o di coltivazione di petrolio, in prima o in seconda istanza, il totale racimolato dallo Stato, perché il canone è un gettito fiscale, è fino al 2018, di circa 1 milione e 400 mila euro all’anno.

Con i nuovi prezzi, stabiliti dall’emendamento di Mirella Liuzzi, i cui limiti vanno adesso da 2000 euro a 25 mila euro sempre al km o  miglia marine quadrate, l’incasso per lo Stato, dal 1 gennaio 2019, passerebbe, perché l’emendamento deve essere approvato, da 1 milione e 400 mila euro circa, a circa mezzo miliardo di euro all’anno. Cosa che non ci sembra proprio un regalino né un compromesso pro petrolio.

Questi costi, sono entrate fisse per le casse dello Stato. Dunque, o si estrae o non si estrae, o piove o nevica o c’è o non c’è un fermo tecnico, le compagnie petrolifere sono obbligate – senza alcuna franchigia – a pagare giustamente e adeguatamente l’occupazione di suolo pubblico, ottenendo in tal modo, per lo Stato, un gettito più alto, la fine di un privilegio che vedeva regalare più di 40 mila kmq di suolo ai petrolieri e la fine di una sperequazione col cittadino che chiede, al proprio comune, uno spazio per mettere qualche tavolino davanti al proprio esercizio.

Le royalties, tanto decantate dai contestatori del provvedimento Liuzzi, che sono comunque in valutazione da parte del M5S, prevedendo di alzarle al 50% in 3 anni, finalizzandole però al ripristino ambientale e non più all’uso clientelare locale, sono invece proventi contrattuali innanzitutto DEDUCIBILI per le compagnie petrolifere e con un costo finale variabile per le entrate dell’ente pubblico,in quanto legato a condizioni internazionali (la borsa del greggio di NY o di Londra) e alla quantità di petrolio estratto ogni giorno nelle singole coltivazioni di petrolio. Più estrai, più royalties acquisisci e più deduzioni fiscali concedi alle società petrolifere.

Dunque, una vera e propria contraddizione in essere tra ciò che dicono le associazioni ambientaliste, di volere la chiusura dei pozzi, e ciò che in realtà poi ritengono più inerente all’ottenimento del loro proposito, dato che chiedono di gestire il complicato rapporto coi petrolieri, gestendo al meglio le royalties. Che era ed è l’intento del Pd.
Per il M5S, questa richiesta di aumento del gettito fiscale, che non sta escludendo anche altre misure di aumento della fiscalità in ambito petrolifero, come la tassazione degli inquinanti prodotti, altro non è che un sistema per intervenire sul rapporto costo beneficio di queste multinazionali del petrolio. Sempre attente a questo bilancio, anche in Kuwait, dove il petrolio abbonda e affiora, e a maggior ragione in Italia e in Basilicata, dove i giacimenti sono piccoli di entità, di scarsa qualità e a profondità elevate. Finanche a 4 km.

Per cui, estrarre in Italia ha costi di per sé elevati. Se poi gli si regalano le concessioni minerarie e si sospende ogni precauzione e ogni controllo, è chiaro che a i petrolieri diventa tutto più conveniente, finanche a non porsi alcun problema nel perforare anche nel giardino di casa di italiani e lucani.

Il provvedimento a firma Liuzzi, è tra l’altro preso dal modello norvegese, come segnalato più volte nei post della ricercatrice americana, paladina della lotta al petrolio, Maria Rita d’Orsogna, al fine proprio di essere un deterrente verso le estrazioni non convenienti in base ai costi finali, per ottenere, prima ancora di capire con quanta velocità si riuscirà ad uscire dalla produzione fossile nazionale, in base alla ingarbugliata burocrazia nazionale e regionale che, proprio in tema di permessi di perforazione, non favorisce né il cittadino né chi vuole cambiare le cose.

Cercando di ottenere indirettamente una prima e volontaria chiusura della maggior parte dei pozzi minerari, proprio perché al limite della convenienza produttiva, proprio come accade nel Mare del Nord, dove le compagnie si guardano bene dal perforare giacimenti di petrolio delle dimensioni di quelli che si trovano generalmente in Italia.

Antonio Materdomini M5s Matera