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Storia di un sindaco lucano

13 ottobre 2018 | 11:51
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Storia di un sindaco lucano

Quando la storia è in bilico, alcune voci scomode trovano una risposta nell’oppressione

Io sono un filo d’erba/un filo d’erba che trema./E la mia Patria è dove l’erba trema./Un alito può trapiantare
il mio seme lontano”. (R. Scotellaro)

Quando la storia è in bilico, alcune voci scomode trovano una risposta nell’oppressione. Quando diverse visioni di progresso vengono a confliggere, le modalità di confronto non sempre sono cristalline. Vi racconto una storia, quella del sindaco-poeta Rocco Scotellaro. 


Come noto senz’altro ai cultori della storia del Sud, il ventennio fascista si concluse con un peggioramento dei divari tra Nord e Sud e la Questione Meridionale, ossia il divario persistente tra le aree del paese, non solo non era stata aggredita nella sostanza, bensì risultò persino acuita. La classe dirigente di Mussolini si limitò a una propaganda orientata all’ esaltazione della campagna ma, come fa notare Nicola Tranfaglia, all’inizio degli anni ‘30 creò l’Iri, concentrando le imprese e le industrie pesanti nel Nord del paese, soprattutto per finalità di riarmo. Appena dopo lo sbarco degli alleati, la formazione dei governi Badoglio e Bonomi aveva generato un compromesso sufficiente a riportare al potere fette del ceto politico vicine al fascismo, che assai rapidamente si erano modificate per aderire ai partiti di centro e di destra, puntando a ripristinare il “vecchio ordine”, in modo più o meno palese.

Si definiva così il contesto politico in cui si consumò la breve storia del sindaco Rocco Scotellaro, di Tricarico, raccontata in modo mirabile da Tranfaglia. Egli fu eletto sindaco nelle elezioni del 1946, a soli 23 anni. Era socialista. Era il figlio di un ciabattino emigrante e di una casalinga. Da subito nelle sue poesie emerse il senso di isolamento dell’”Italia interna”, la stessa di cui oggi parla lo scrittore Franco Arminio e di cui ieri si preoccupava Manlio Rossi Doria, chiamandola “Italia dell’osso”. Quell’Italia che oggi si spopola e si fa deserto.

Fino al ‘48 l’Italia era in bilico tra le forze del centro cattolico e quelle della sinistra socialista e comunista. Scotellaro fu rieletto e nel suo programma prevedeva la costruzione dell’Ospedale Civile a Tricarico, fortemente voluto dai suoi amati contadini. La sua esperienza rischiava di stridere apertamente con i nuovi equilibri. Cito Tranfaglia: “Di qui la scelta di uno strumento più insidioso ma tipico di un modo di esercitare il potere proprio di quei vecchi gruppi dirigenti: non l’assalto politico frontale ma l’attacco laterale attraverso la calunnia diffusa all’interno della comunità e l’inchiesta di una magistratura almeno in parte complice, sottomessa all’esecutivo, come già era stato durante il ventennio fascista.

Rocco era dal 1945, come emerge dalle carte di polizia ora venute alla luce, un sorvegliato speciale, in quanto sovversivo, seguito e spiato sia prima che dopo la sua elezione a sindaco e la sua rielezione nel 1948. Il fascicolo che lo riguarda nel casellario politico centrale è ricco di indicazioni minuziose sulla sua vita quotidiana, sulle sue azioni politiche e sulle sue iniziative culturali.”

Da una denuncia anonima scaturì la contestazione dei reati di associazione a delinquere, truffa, falsità in autorità in autorizzazione amministrativa e malversazione continuata e aggravata. Il sindaco poeta che aveva fatto del soccorso ai contadini il principale obiettivo della sua azione politica, viene infamato come truffatore. Rocco Scotellaro venne arrestato nell’autunno del 1948. Trascorse in carcere 45 giorni di carcerazione preventiva. Fu il grande scrittore Carlo Levi a sensibilizzare l’opinione pubblica nazionale sul caso del sindaco poeta di Tricarico. La Corte di Appello di Potenza riconobbe poi l’assoluta falsità di tutte le accuse. Scotellaro abbandonò la politica e morì trentenne a Portici il 15 dicembre 1953.

La poesia di Scotellaro, secondo Franco Fortini, fu “un canto di fedeltà di un intellettuale moderno al suo paese d’origine”. Non si fece “americano per vent’anni” per tornare alla propria terra in modo leggendario. Non fece retorica socialpopulista. Agì con coraggio, anche in politica. Ci ha lasciato dei versi “che abiteranno la nostra memoria”. E il ricordo dell’ignominia conformista di chi lo ha oppresso. 

Un recente articolo del compianto Alessandro Leogrande, di aprile 2017, si intitolava “La politica del mestiere. Ritorno a Rocco Scotellaro”.  http://www.minimaetmoralia.it/wp/rocco-scotellaro/

Vi emerge il rilievo di figure come Scotellaro che narrarono dall’interno i sommovimenti della civiltà contadina tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta e la difficile esperienza di Sindaco in un contesto di povertà e disagi.
Nel confrontare quel Sud con quello di oggi, scriveva Leogrande: “In un Sud mutato rimangono – ancora oggi – l’estrema fatica di intervenire sulle cose, sulla materia dei rapporti umani, per trasformarli, e l’estrema fatica di raccontare le linee di frattura, la complessità delle tensioni sociali, che spesso mutano (come rilevava Scotellaro) da paese a paese all’interno della stessa provincia, la cultura e la politica, i comportamenti elettorali, le alleanze elettorali, gli immobilismi vecchi e nuovi, il ruolo dei luigini.

Rispetto a sessant’anni fa, proprio perché il Sud, più che il resto d’Italia, ha vissuto una fase di crescita e decrescita infelice, di accesso alla società dei consumi e poi di ripiegamento nell’assenza strutturale del lavoro (e sovente di una cultura del lavoro, soprattutto dopo il fallimento dei grandi poli industriali), serpeggia un rancore maggiore, a volte difficile da afferrare. Una collera, mista ad apatia, su cui è complicato edificare qualsiasi cosa”.

Scotellaro era convinto dell’importanza di creare nuove alleanze sociali. Era animato da un ottimismo che mi piacerebbe leggere più spesso sui volti dei miei conterranei, al posto delle solite frasi: Qui non c’è niente, non cambierà mai niente. Bisogna andare via. Quanto diverse, questa parole da quelle del Sindaco-Poeta: “Mi sostiene ancora una profonda fiducia d’un lavoro serio, animato dalla ribellione al conformismo del tempo”

La lirica è tratta da “la poesia di Rocco Scotellaro”, Basilicata Editrice, 1974, Roma-Matera. Il brano di Tranfaglia è tratto dall’introduzione al saggio “L’uva puttanella – i contadini del Sud”, di Rocco Scotellaro, edito da Laterza, Roma-Bari.