Marcello Pittella, le radici della responsabilità e le ali dell’inganno. Lettera aperta al presidente

10 ottobre 2018 | 17:49
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Marcello Pittella, le radici della responsabilità e le ali dell’inganno. Lettera aperta al presidente

I lucani vittime del “silenzio che si tocca”

Presidente, ho letto la sua nota rivolta ai lucani e diffusa dalla stampa, ieri 9 ottobre. Sul piano umano mi consenta di dirle che la capisco.  Credo, inoltre, che tanti altri cittadini, finiti nelle maglie di vicende giudiziarie, sappiano bene interpretare la sua sofferenza. I processi mediatici, le strumentalizzazioni, le condanne di piazza, le vendette di gente senza scrupoli aggiungono dolore e tristezza a chi è già incatenato nel dilemma di una tempesta di cui è sempre difficile coglierne umanamente le ragioni.

Non ho condiviso le motivazioni che hanno determinato la misura cautelare nei suoi confronti, e ancora faccio fatica a comprenderle.

Tuttavia, mi permetta di fare alcune osservazioni critiche sul contenuto della sua lettera. Lei dice che “le parole si parlano e i silenzi si toccano”. Mi lasci dire che il silenzio, nel suo caso, sul piano politico, è valso più di mille parole. Quel silenzio ha urlato tra le “montagne” della politica e della società lucana. Ha generato un’eco di confusione, di imbarazzo, di incertezza sia nei lucani sia nel suo partito. Mi scusi presidente, ma non sono d’accordo. Lei ha parlato, eccome se ha parlato, per tutto il tempo.

Lei non si è dimesso. Questa decisione, mai palesata con le parole, ha parlato più di quanto si possa immaginare. E per lungo tempo i lucani hanno vissuto nel dubbio delle ragioni di tale scelta. Hanno subito “il silenzio che si tocca”. E mi dica se questo è giusto. Lei scrive che non si è dimesso, e lo scrive a distanza di molto tempo, per la “difesa di un principio” e anche, mi permetta la sintesi, per motivi di responsabilità politica e istituzionale.

Credo che il senso di responsabilità debba coinvolgere tutti coloro che, in un modo o nell’altro, sono attori di una vicenda. La magistratura, la politica, le istituzioni. Quelle responsabilità implicano conseguenze e quelle conseguenze sono figlie della responsabilità che ciascuno si assume. Quando la magistratura ha disposto il suo arresto era, voglio crederlo, cosciente delle conseguenze, politiche e istituzionali, che quella decisione avrebbe provocato. Quando lei ha subito la misura cautelare per causa dei presunti reati commessi avrebbe dovuto avere la consapevolezza delle conseguenze. Quando il suo partito ha preso atto della grave vicenda che l’ha coinvolta, avrebbe dovuto accettarne le conseguenze. E le conseguenze erano e sono chiare, inconfutabili: le dimissioni da presidente, la sospensione dal partito in attesa degli esiti giudiziari, il consiglio regionale a carte quarantotto con tutti gli effetti immaginabili. Ogni azione comporta una conseguenza.

Voglio credere che queste conseguenze erano nella coscienza e nella scienza sua e della magistratura, della politica, delle istituzioni, del suo partito. Se così non fosse, saremmo tutti vittima di un teatro dell’assurdo dove le responsabilità si riducono a mero esercizio del potere, spesso impunito, di un apparato istituzionale e politico gravemente carente di trasparenza. E dove l’ipocrisia regna sia tra le parole dette sia nei silenzi che si toccano. Ecco, nessuna di quelle conseguenze naturali, lapalissiane, si sono verificate e così le responsabilità sono evaporate. In base a quale principio di responsabilità lei ha impedito ai lucani di esprimersi col voto subito? In base a quale principio di responsabilità lei ha scelto di tenere la Basilicata tra parentesi, sospesa, per tutti questi mesi?

Lei presidente, fa ancora in tempo, si dimetta. Lo deve a se stesso, alla sua dignità di uomo politico e di servitore delle istituzioni. Lo deve, soprattutto ai lucani e magari anche al suo partito e ai suoi elettori. Le sue dimissioni sono l’unica risposta, moralmente e politicamente accettabile, a tutto quanto accaduto. Erano e sono doverose. Non c’è alcuna motivazione valida a supporto della sua resistenza. Perché se non si accettano le conseguenze dell’esercizio della responsabilità, o se si impedisce che quelle conseguenze abbiano un effetto, la responsabilità diventa parola vuota. E le parole vuote nutrono la sfiducia. E la sfiducia danneggia la coesione sociale, l’economia, la politica. Vede presidente, quante altre conseguenze possono determinarsi quando la responsabilità è una parola vuota?

Si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare. Ma in questa regione, a quanto pare, mancano le radici della responsabilità e tuttavia abbondano le ali dell’ipocrisia e dell’inganno. E’ come se la politica e le istituzioni, tutte, avessero costituito una specie di “società a irresponsabilità illimitata.”