Mafia nel Metapontino, quando i delinquenti erano quelli che denunciavano

Dall’escalation alla sottovalutazione. passando per l’inerzia delle istituzioni. Gli arresti della scorsa settimana ci dicono che qualcosa sta cambiando
Ho un’idea sulla questione “mafia” in Basilicata per cui, sintetizzando alla grande, mi sembra divisa in due fasi distinte: una prima che è durata decenni (fino a qualche anno fa) in cui la Basilicata non ha conosciuto eclatanti episodi di violenza mafiosa (al netto del ciclo violento e di omicidi di Montescaglioso e altri episodi limitati e circoscritti) non perché la Mafia non ci fosse ma perché qui ha assunto una forma assolutamente inedita nel panorama italiano possibile per un accordo di non belligeranza garantito dalla politica
una seconda (in cui siamo) che coincide con la crisi istituzionale e del modello “Lucania Isola Felice”, con la politica che si ritrae, il patto che sfuma e la mafia militare che avanza al suo posto nel controllo del territorio.
I mafiosi hanno trovato “garanti autorevoli”. Questa Regione, terra di confine fra territori di vecchia storia mafiosa come la Campania, la Calabria, la Puglia, avrebbe potuto essere terreno di scontro militare fra queste diverse mafie che avrebbero dovuto contendersi il territorio e le aree di influenza; se ciò non è accaduto (o almeno non ne abbiamo avuto contezza), è perché, evidentemente, fra di loro c’è stata una sorta di “pace territoriale”, un “accordo di non belligeranza” che, fondamentalmente, ha retto per tanti anni (io penso fino a una decina di anni fa). Gli accordi (espliciti con la controfirma in calce o taciti per “convenienza oggettiva”) hanno un presupposto imprescindibile: occorrono garanzie e garanti. I garanti, per offrire garanzie credibili, devono essere autorevoli, forti e affidabili.
Cosa c’è stato di più certo, autorevole, forte e affidabile nei decenni scorsi in Basilicata che non la classe dirigente politica che ha governato le istituzioni? Cosa di più “professionale” nel controllo del territorio e dei processi economici?
E cosa c’è di più sicuro che non il flusso enorme di finanziamenti pubblici che le sono passati fra le mani da usare come “bastone e carota” per imporre la pace? Cosa c’è di più certo della stabilità assicurata da un ceto politico che, pur avendo mantenuto una intera regione in povertà per decenni, è riuscita a distribuire prebende e ad assicurare affari tali da garantire al tempo stesso il consenso largo dei più con il voto e le mani libere ad ogni genere di avventurieri?
Lo hanno chiamato “Sistema Basilicata”, vendendolo come un sistema senza Mafie (come se la Mafia fosse solo quella che spara, appunto). Un sistema che ha cooptato tutti quelli che servivano (oppositori politici, professionisti, tecnici, informazione …. ) e che riduceva all’impotenza ed alla marginalità fino all’esclusione gli irriducibili e le voci libere.
Un sistema che non ammetteva di essere contraddetto fino ad arrivare a minacciare, intimidire, isolare qualsiasi tentativo di “guardare oltre” o, se si preferisce, dentro; un sistema che ha pervaso la società non solo “in basso” ma anche “in alto” arruolando un esercito di compiacenti funzionari, tecnocrati fin dentro le procure e i tribunali dove il “sistema” è riuscito per lungo tempo a garantirsi l’ignavia arrivando, nei fatti, ad addormentare, a silenziare e a disinnescare indagini e iniziative investigative o, adirittura, a usarle e orientarle strumentalmente.
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Lo sa bene, per esempio, Luigi De Magistris che quando era magistrato, con l’indagine Toghe Lucane e il sequestro di Marinagri a Policoro, è arrivato ad un passo dallo scoperchiare il pentolone osando perseguire il “presunto comitato d’affari che avrebbe operato in Basilicata con la complicità di politici, magistrati, professionisti e imprenditori”. Sappiamo come finì a quel tempo quell’indagine. Demagistris fu fermato e, probabilmente anche per quello, pagò il prezzo di un forte tentativo di isolamento e, anche se aveva visto giusto, quegli interessi (contraddetti solo per un breve tempo) si ricomposero velocemente.
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Lo sanno bene i Carabinieri di Policoro che cercavano di indagare su “amministratori in carica” e le altre forze dell’ordine che si videro notificare da parte del Procuratore della Repubblica di Matera una circolare in cui si imponeva che le indagini su esponenti “istituzionali” dovevano essere preventivamente comunicate al Procuratore stesso vanificando, così, la giurisprudenza, le regole di legge e costituzionali che impongono l’obbligatorietà dell’azione investigativa in presenza di notizie di reato.