Regolamento di Dublino, “Con la riforma sistema più efficace e rispettoso dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo”
Abbiamo intervistato la europarlamentare Elly Schlein, che ci ha raccontato il lungo lavoro svolto in questi anni per ottenere la revisione del regolamento
Abbiamo intervistato la europarlamentare Elly Schlein, che ci ha raccontato il lungo lavoro svolto in questi anni per ottenere la revisione del regolamento di Dublino che «stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide».
Qual è stato il suo impegno nella riforma del regolamento di Dublino e quello dei principali partiti italiani in questi anni?
La proposta di riforma del regolamento di Dublino votata dal Parlamento europeo è frutto di due anni di intenso lavoro che mi hanno vista impegnata in prima linea come relatrice della riforma per il gruppo dei Socialisti e Democratici. Ho presentato 145 emendamenti, scritti dopo un fruttuoso confronto con esperti e associazioni, per ribaltare la logica ipocrita del Regolamento che assegna la responsabilità sulle richieste di asilo presentate in UE e che per decenni si è basato sul criterio del Primo Paese di accesso, lasciando le maggiori responsabilità sui Paesi ai confini caldi dell’UE, come il nostro, e bloccandovi migliaia di persone che non volevano restarvi. Il nostro lavoro di riscrittura ha dimostrato che un’altra Dublino è possibile, basata sui principi di solidarietà ed equa condivisione delle responsabilità che già si trovano scritti nei Trattati europei.
La riforma è stata votata dal Parlamento europeo a novembre 2017 da una maggioranza ampia e trasversale che va dai socialisti, ai verdi e la sinistra unita, per arrivare ai liberali e ai popolari europei. Tutti i partiti italiani hanno votato a favore della proposta di riforma ad eccezione del Movimento 5 stelle e della Lega. La Lega di Salvini, che oggi si erge a campione dell’interesse nazionale, non si è mai vista nemmeno ad una delle 22 riunioni di negoziato su una riforma così fondamentale per l’Italia, ha votato contro in Commissione Libertà civili e poi si è astenuta sul voto in plenaria a Strasburgo.Qui si vede tutta la differenza tra chi sa fare solo propaganda e chi cerca di cambiare davvero le cose.
Aiutiamo i nostri lettori a fare un po’ di chiarezza. Il regolamento di Dublino stabilisce che l’accoglienza sia a cura del primo paese europeo in cui giunge un migrante. La recente proposta di riforma di tale regolamento prevedeva un meccanismo di ricollocazione permanente automatico con multe e tagli ai fondi europei per quei paesi che non intendessero collaborare alla ripartizione dei migranti sul suolo comunitario. Lei ha apertamente sostenuto tale proposta. Ma cosa è accaduto nell’europarlamento?
La cosa più difficile di questo lungo e delicato negoziato è stata convincere i colleghi che per riscrivere Dublino e superarne gli evidenti limiti non bastasse inserire un meccanismo di ricollocamento che scattasse al raggiungimento di una certa soglia di richieste d’asilo in un Paese, ma che per creare un sistema d’asilo davvero europeo fosse necessario cancellare il criterio del primo paese e la soglia stessa, sostituendoli con un meccanismo di ricollocamento permanente e automatico che obbligasse tutti gli Stati membri a fare la propria parte sull’accoglienza. La gran parte dei miei 145 emendamenti ha potuto quindi confluire nell’impianto finale del testo approvato, che ha scardinato il criterio del primo Paese d’ingresso. Con la nostra riforma, per essere più chiari, nessuno sarebbe più obbligato a vedere esaminata la propria richiesta d’asilo nel primo Paese d’accesso, e nessun altro Paese potrebbe rimandare in Italia migliaia di persone solo perché entrate in Europa dall’Italia.
Secondo la nostra proposta la persona arriverebbe in un Paese, si verificherebbero subito gli eventuali legami significativi con altri Stati membri in cui ricollocarla immediatamente con una nuova procedura accelerata, e qualora non avesse alcun legame scatterebbe automaticamente il meccanismo di ricollocamento che lascia al richiedente asilo anche un margine di scelta tra 4 Paesi, che al momento della sua richiesta siano i più lontani dal raggiungimento della giusta quota di domande d’asilo che ogni Stato europeo deve esaminare (stabilita proporzionalmente in base a PIL e popolazione). Abbiamo disegnato un sistema più giusto, più efficace, più veloce e più rispettoso dei diritti fondamentali e procedurali dei richiedenti asilo. Un lavoro lungo, complesso e in gran parte condiviso, che ha portato all’approvazione della proposta, da parte del Parlamento Europeo, con la maggioranza storica di 390 voti favorevoli, 175 contrari e 44 astenuti. Il problema è che, essendo co-legislatori con il Consiglio, stiamo ancora aspettando che i governi europei trovino una posizione comune per poi sederci a negoziare il testo definitivo. Ed è vergognoso che pur avendo la proposta sul tavolo da tempo, i governi non siano stati ancora in grado di trovare alcun accordo sulla solidarietà interna. Non perdano quest’occasione storica di dimostrare a cosa serve l’Unione europea.
Perché, secondo lei, l’Italia si è apertamente affiancata ai cosiddetti paesi di Visegrad che hanno osteggiato tale proposta di riforma?
Non è la prima volta che la Lega si fa dettare la linea da Orban. Nel maggio 2017 quando il Parlamento europeo approvò una risoluzione di dura condanna per quei governi che non avevano effettuato i 160’000 ricollocamenti promessi dall’Italia e dalla Grecia, la Lega inspiegabilmente votò contro, come i Visegrad. Ma l’asse di Salvini con l’Ungheria di Órban è assurdo e tutto a spese dell’Italia. Sono i Paesi che più strenuamente si oppongono ai ricollocamenti obbligatori e alla condivisione delle responsabilità sull’accoglienza. Una strategia peraltro in aperta contraddizione anche con quanto scrittonel noto contratto di governo e con lerichieste dello stesso Presidente del Consiglio Conte. In questi ultimi giorni stanno emergendo invece in modo chiaro i reali intendimenti del ministro dell’Interno e leader della Lega.
A Salvini non interessa realmente individuare soluzioni, ma solo utilizzare cinicamente i migranti come arma di distrazione di massa e far leva sulle paure delle persone per provare a “scalare” le istituzioni europee insieme a Orban e agli altri sovranisti. Su questo dobbiamo registrare un cambio di passo. Non vogliono più distruggere l’Unione, vogliono conquistarla. Questo scenario rende evidente la portata della posta in gioco nelle prossime elezioni europee, dove non solo ci saranno posizioni politiche diametralmente opposte, ma si preannuncia addirittura uno scontro sulle fondamenta del progetto di Unione Europea, che arriva a lambire il concetto di democrazia stessa. Anche su questo il Parlamento europeo ha lanciato un segnale fortissimo due settimane fa approvando a maggioranza di due terzi una risoluzione sull’Ungheria che chiede per la prima volta l’attivazione dell’art.7 del Trattato UE per violazione grave dei principi fondamentali dell’Unione tra cui lo stato di diritto, l’uguaglianza, il pluralismo e la non discriminazione.
Quali iniziative si potranno e si dovranno intraprendere nei prossimi mesi?
I prossimi mesi saranno cruciali per organizzare una risposta all’altezza della sfida. Le manifestazioni di Catania di fronte alla nave Diciotti e a Milano, in piazza San Babila, dimostrano che c’è grande consapevolezza dei pericoli che comporta per tuttiquesta deriva xenofoba e nazionalista. Ci rivediamo il 30 settembre a Milano con i Sentinelli, ANPI e Aned, sarò sul palco insieme a loro. La presenza spontanea e numerosa di tante persone è un segnale incoraggiante. Sarà un lavoro lungo, sia politico che culturale, di ricostruzione dell’argine che è venuto meno in questi anni. E serviranno il contributo e la partecipazione di tutte e tutti.
Oggi, anche per effetto della feroce polarizzazione del dibattito di cui Salvini si nutre, molte più persone si rendono conto di quanto sia alta la posta in gioco e hanno voglia di mobilitarsi per opporsi all’inumanità delle scelte del governo e costruire un’alternativa.
Una polarizzazione falsa, peraltro, quella proposta da Salvini, tra forze sovraniste ed establishment. La stessa che anche Macron sembra voler alimentare, e non ci stupisce. Ma si tratta di una polarizzazione di comodo che dobbiamo rifiutare. C’è chi non sta né con chi difende lo status quo dell’Unione di oggi, ed è responsabile delle politiche economiche e sociali che in questi anni di crisi hanno aumentato le diseguaglianze e colpito i più deboli, mancando la promessa di maggiori opportunità alle nuove generazioni. Né con chi predica la chimera del ritorno ai confini nazionali e la nostalgia del Medioevo, di fronte all’evidenza che tutte le maggiori sfide su cui ci giochiamo il futuro sono ormai europee e globali e non possono più trovare risposta entro i ristretti confini nazionali. Insomma: né con l’establishment, né coi sovranisti. Lì in mezzo c’è un terzo spazio dove siamo in tanti, e per dargli forma serve un fronte progressista ed ecologista europeo, con un progetto chiaro e una visione comune del futuro delle nostre società.