Petrolio, mafia e istituzioni
I feudi lucani della Total e dell’Eni sono acqua per il mulino della criminalità organizzata
Non sono bastate le inchieste di questi anni a fermare la nascita di un feudo affaristico nella valle del Sauro. Tra Corleto Perticara e Gorgoglione, l’area delle estrazioni petrolifere Total, si è creata una zona franca, una sorta di staterello autonomo dalle regole, dall’etica e dal diritto. La Compagnia francese da circa tre decenni “governa” quel territorio, con la complicità di uomini delle istituzioni che sono diventati “funzionari” della Total. Terre coltivate e pascoli distrutti dall’arroganza giustificata da “interessi superiori”. Paesaggi sconvolti e diritti elementari dei cittadini travolti dall’impotenza delle istituzioni locali. Diritti calpestati in nome del denaro. E’ come un territorio franco, lontano dalla civiltà, dove il gioco mafioso comincia a piacere a molti. Se stai da una parte sei protetto, se sei dall’altra parte sei in pericolo. Qui è un putiferio di piccole aziende, ditte individuali, liberi professionisti gli uni contro gli altri, tutti a mungere dal colosso francese.
Mentre la Total continua imperterrita nel suo disegno predatorio, il resto del mondo intorno lotta per la supremazia nel territorio degli affari. Soprattutto adesso che i lavori del Centro Olio sono conclusi. I cittadini soccombono alle prepotenze degli affaristi, le comunità si chiudono nel silenzio. Qui si respira aria di rassegnazione, quella rassegnazione che corrode le coscienze e poi le uccide.
Non basta tutto questo. Non bastano la guerra tra poveri scatenata dalle assunzioni e il sistema clientelare che ha messo radici da quando è stato aperto il cantiere di Tempa Rossa.
Non basta l’ombra della paura che copre tutta la Valle. Se la Total, come Eni, ha rapinato il territorio, altri nel frattempo si sono fatti avanti per reclamare una parte del bottino.
Si tratta di gruppi criminali che hanno preteso assunzioni, incendiato auto e mezzi, che hanno imposto fornitori. Gruppi criminali che stanno investendo nel mercato dello spaccio e delle estorsioni. La Total ha portato disastri ambientali, si è resa responsabile della violazione dei più elementari diritti umani. Tuttavia, ha un’altra responsabilità: aver lasciato che le uova della cultura mafiosa si depositassero in quel territorio.
Abbiamo già raccontato di episodi di stampo malavitoso accaduti in quella terra del petrolio. Corleto Perticara, Guardia Perticara, fin giù nella val d’Agri tra i cantieri dell’Eni. Intimidazioni, ex carcerati mafiosi assunti nella sicurezza, risse tra spacciatori, sparatorie notturne.
“Se vuoi stare tranquillo devi assumere Tizio”. E capita che Tizio sia un pregiudicato imposto da personaggi legati a qualche mafia, magari alla ‘ndrangheta. Capita che quel tizio sia un certo Vincenzo Pistritto, pregiudicato, sospettato di essere affiliato alla “Stidda”, organizzazione mafiosa creata dagli espulsi dalle cosche di Cosa Nostra.
Quante persone sarebbero state assunte con questo criterio? E’ evidente che ci troviamo di fronte a episodi di carattere intimidatorio ed estorsivo. Torniamo a ripetere per l’ennesima volta: Occorre indagare anche in altre direzioni. Verificare se questi episodi sono gli spigoli di un vero sistema delle estorsioni e, se sì, quanto sia esteso il fenomeno, oltre il criterio mafioso delle assunzioni. Occorre verificare quali intrecci esistono tra mercato delle estorsioni e mercato degli stupefacenti in quell’area. E se alcuni assunti con i criteri estorsivi abbiano qualche funzione operativa al servizio dei gruppi criminali. Lo ripetiamo e lo ripeteremo. Chi deve indagare indaghi anche in direzione di uomini delle istituzioni.
In queste condizioni il clientelismo nelle assunzioni fa da catalizzatore di comportamenti mafiosi.
La scarsa attenzione delle autorità di controllo sui processi produttivi dell’industria estrattiva e dell’industria dello smaltimento, la scarsa attenzione delle istituzioni sul rispetto degli accordi e delle leggi, favoriscono devianze affaristiche.
La vicenda petrolifera lucana è ormai a un bivio tragico. La battaglia ambientalista collocata nel solco della salvaguardia dell’ambiente e della salute deve intrecciarsi con una rinnovata battaglia politica contro la rovina sociale, culturale civile del territorio. Il pericolo è serio e immediato.
Il rischio è che oltre la devastazione ambientale e sanitaria, oltre la distruzione delle risorse naturali pulite, il territorio sia invaso dalla criminalità organizzata e da essa occupato. Criminalità organizzata che cerca consenso sociale e che cerca l’alleanza nell’area opaca della mafiosità – cultura mafiosa – che caratterizza una parte della politica e delle istituzioni. Questa regione è piena di colletti bianchi e grigi pronti a vendersi per una manciata di denaro. E’ piena di cosiddetti politici pronti ad accordarsi per una manciata di voti.
Tuttavia, la Basilicata ha le risorse civili per reagire. Occorre, però, intelligenza. Non serve l’ambientalismo da baraccone, ma serve un ambientalismo scientifico, serio, autorevole. Non serve la protesta politica da tastiera di “movimenti” fermi al palo tra un’elezione e l’altra. Questa è l’ora della serietà, dell’onestà intellettuale, della saggezza.