La cultura è un problema politico oppure la politica è un problema per la cultura?
La gente che non visita i musei e le mostre, che non va a teatro o a cinema e non apre mai un libro, è colpevole di cosa?
Leggo spesso di persone indignate per lo scarso interesse dei cittadini verso l’arte e la cultura. “La gente non visita i musei e le mostre, non va a teatro”. E’ vero. Quella indignazione, però, spesso nasconde un disprezzo, quasi una condanna morale, nei confronti di “quella gente”. Tuttavia, la questione potrebbe essere affrontata da un’altra prospettiva.
Il modo in cui le opportunità sono usate dalla gente dovrebbe essere un argomento fondamentale per la politica. Tuttavia, l’unico modo perché la gente le sappia usare è che le sappia produrre, ossia che sappia almeno come si fa. L’uso di una grattugia elettrica richiede che io conosca le istruzioni di base del suo funzionamento. Non necessariamente devo aver partecipato alla produzione, o alla sua progettazione o al contatto fisico con i singoli pezzi assemblati. Mi bastano poche fondamentali informazioni. Ma l’uso dei beni pubblici, o delle opportunità sociali, o dei beni culturali, richiedono più di una qualche informazione di base o istruzioni: richiedono conoscenza. Per capirne l’importanza e per usarli nel modo appropriato. Non posso essere un consumatore di cultura se non ho le basi di quella cultura. La stessa cosa può valere per qualsiasi arte. Posso vedere un film e giudicarlo per la commozione che mi ha dato, per la storia divertente, per l’attore che è un bell’uomo. Ma posso anche vederlo e giudicarlo per la fotografia, per la regia, per le luci, per la sceneggiatura. Questo è il modo per vedere bene un film. Ma questo modo non posso usarlo se nessuno mi ha mai spiegato comefunziona un film. Ammesso che io sappia che esiste una cosa che si chiama cinema. Quante persone non sanno, o non possono, accedere all’arte, alla cultura? Troppe, e spesso non è colpa loro.
Torniamo dunque alla vecchia questione: la gente che non usa, né produce, la cultura è un problema di conoscenze. E se queste conoscenze non diventano fondamenti del sistema scolastico e educativo non ne usciamo. Il problema non è solo costruire la sala per il teatro affinché gli attori possano esibirsi. Il problema è anche fare in modo che la gente ci vada al teatro. E fare in modo che quando assiste ad una rappresentazione porti a casa tutto il bello che può ricevere da quella performance artistica. Però deve sapere come funziona il teatro.
Usiamo una metafora. C’è un lago (bene comune, bene culturale). Alcuni sanno dov’è, sanno come raggiungerlo e sanno anche come e quando pescare in abbondanza, perciò se ne prendono cura o lo saccheggiano. Altri, invece, non sanno che il lago esiste, o sanno che esiste ma non sanno come raggiungerlo. Oppure sanno come raggiungerlo ma non sanno che farsene, sebbene ci sia del pesce da pescare e una spiaggia da usare. Oppure sanno che c’è del pesce da pescare, ma non sanno come si pesca. Sono tutte variabili delle possibili condizioni che caratterizzano la relazione tra il cittadino e il bene comune. Il problema quindi non è dato soltanto dall’esistenza o no del lago (opportunità, bene comune), il problema è come fare in modo che la gente lo usi e se ne prenda cura. E sarebbe inutile costruire tanti laghi (contenitori) senza che la gente riesca ad usarli. Un bene culturale lo apprezzo, e ne godo, soltanto se lo conosco non con lo sguardo, ma con la capacità di entrare in relazione con esso. E questa capacità è data dalla conoscenza che deriva dall’esperienza di “manipolazione” dell’oggetto. Se guardo un Caravaggio senza conoscere Caravaggio e la sua arte, guardo e basta. E’ come osservare un bicchiere di buon vino rosso senza assaggiarlo, perché ignoro il significato di “buon vino rosso”, pur sapendo cos’è un bicchiere. Chi guarda un film senza sapere com’è fatto e di cosa è fatto, guarda e basta.
Molte persone fruiscono dei beni artistici e culturali soltanto se questi beni sono collocati in una dimensione ludica, di divertissement. Il resto diventa noia che si agita nell’ignoto, nella superficialità dello sguardo.
Dunque torniamo a bomba. “La cultura è un bene comune primario come l’acqua; i teatri le biblioteche i cinema sono come tanti acquedotti”. Questa frase credo sia di Claudio Abbado. E’ vero, ha ragione. Tuttavia, a che servono gli acquedotti se la gente non beve o non sa bere o non sa di avere sete? Siamo certi che la gente sappia di avere diritto all’acquedotto? Magari preferisce il distributore di bibite con le bollicine. Perché forse aveva ragione Hannah Arendt: “La società di massa non vuole cultura ma svago.”
Un popolo è libero e progredisce se sa produrre e consumare cultura. La questione è dunque politica e riguarda gli obiettivi di lungo termine dei governi. Allargare lo sguardo dai contenitori ai contenuti è importante. Approfondire la questione dell’accessibilità, non solo fisica, a quei contenuti è ancora più importante. Se voglio che la gente beva l’acqua dell’acquedotto di Abbado, devo fare in modo che abbia sete. E questo, torno a dirlo, è un problema politico. Tuttavia, a giudicare dalla situazione in cui ci troviamo, la politica è stata ed è un problema per la cultura, perché non riesce a capire che la priorità è creare le condizioni affinché i cittadini raggiungano l’acquedotto. Al contrario, la politica preferisce distribuire bibite gassate che, tra l’altro, non dissetano affatto. Date un’occhiata a come trattano la scuola in Italia e in Basilicata. Dovrebbe bastare.