Sanità lucana. Tutte chiacchiere senza distintivo

31 luglio 2018 | 14:30
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Sanità lucana. Tutte chiacchiere senza distintivo

Questa è la Regione dei protocolli, dei tavoli, delle intese e dei nastri tricolore

Sulla sanità, in questa legislatura regionale ormai alla fine, si sono fatti disastri. Allo stesso modo, la programmazione e la gestione del welfare sociale, si sono rivelati un fallimento senza precedenti. Disastri anche qui. Tra riforme e riformine delle riforme il risultato è un sistema che fa acqua da tutte le parti.

Emigrazione sanitaria in crescita, siamo nell’ordine di 16mila lucani che scelgono strutture fuori regione. E’ di 38 milioni di euro il costo per le casse regionali del saldo di mobilità sanitaria relativa al 2018, vale a dire la differenza tra quanto la Basilicata spende per i lucani che vanno a curarsi fuori regione e quanto incassa dalle altre regioni per i pazienti che vengono a curarsi nelle nostre strutture sanitarie. Siamo in coda. Persino il Molise ha fatto meglio. Unica regione del sud con un saldo attivo complessivo di 16,8 milioni di euro.

Liste di attesa sempre più lunghe che oltre a provocare disagi creano disuguaglianza tra chi può permettersi il ricorso alle prestazioni private e chi non può permettersele. I tempi lunghi per una visita o per una prestazione di cura non sono altro che “mancanza di cura”.

Nel frattempo qualcuno ha pensato bene di usare la sanità pubblica come piattaforma di clientele, favoritismi, giro d’affari. Un mondo, quello della sanità lucana, labirintico, in cui le complicazioni servono a rendere più semplice il perseguimento di scopi privatistici e clientelari.

Sul welfare sociale abbiamo assistito a grovigli normativi finanche contraddittori e, comunque, inconcludenti. Un nuovo Piano Sociale regionale che non è mai partito. Un nuovo sistema di autorizzazioni al funzionamento dei servizi e delle strutture senza capo né coda, sganciato dalla pianificazione mai giunta al nastro di partenza. Delibere fatte e rifatte in un quadro di confusione e diciamo di grande incompetenza.

Il risultato è che i sistemi territoriali di welfare sociale funzionano a malapena con quel poco che è rimasto della vecchia pianificazione che risale al 1998. Cioè non funzionano. Cittadini senza servizi, Comuni senza risorse, imprese sociali allo sbando, lavoratori pagati a babbo morto. Su tutto il resto, i servizi per la salute mentale per esempio, vige il caos. La Franconi, insieme con il suo “espertissimo” direttore generale, se l’è cavata aprendo continuamente parentesi senza chiuderne mai una. E quando ha provato a chiuderne qualcuna è stata costretta ad aprirne innumerevoli altre. Mai vista nella storia della Basilicata, nel bene e nel male, una gestione della sanità e del welfare sociale così improvvisata, estemporanea e nello stesso tempo dannosa. Accanto all’improvvisazione dell’assessore e del suo direttore generale, abbiamo subito la rigidità del comando in  capo al presidente Pittella, il vero assessore alla sanità.

E mentre tutte le cose da fare, quelle concrete, rimangono tra le tante parentesi aperte, l’assessore Franconi, in pompa magna annuncia ieri, 30 luglio, la sottoscrizione degli accordi di programma per l’attuazione delle operazioni in materia di promozione dell’inclusione sociale e potenziamento del sistema dei servizi socio-assistenziali, socio-sanitari e socio-educativi.

Gli accordi prevedono 118 interventi di realizzazione di nuove strutture o adeguamento di quelle esistenti, per un investimento complessivo di 20,797 Meuro a valere sulla Linea delle Azioni 9A.9.3.1 e 9A.9.3.5 del Po Fesr Basilicata 2014-2020. Ricordate i Pois? Stessa storia, stesso fallimento annunciato, stessa politica insensata dell’uso stravagante di risorse pubbliche.

Questa roba del Po Fesr così com’è stata concepita ci dice che questa maggioranza di governo regionale ha imparato dall’esperienza una sola cosa: perseguire imperterriti nella replica degli errori. Costruire contenitori senza contenuti, senza programmazione, senza fondamenta. D’altronde in Basilicata siamo abituati alla politica che non coltiva le vigne ma produce fiaschi per il vino.