Ne abbiamo parlato con Andrea Leccese saggista, esperto di mafie
Andrea Leccese – pugliese di Rodi Garganico come ama precisare – saggista, esperto di mafie, relatore nei corsi di formazione per le professioni legali dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” in materia di indagini patrimoniali antimafia, nel 2009 è tra i vincitori del premio nazionale “Paolo Borsellino”. Nel 2018 ritorna in libreria con Massomafia- Sui rapporti tra mafia e massoneria deviata, pubblicato da Castelvecchi. Un saggio con cui evidenzia i gravi pericoli collegati all’infiltrazione delle organizzazioni mafiose nei circoli della massoneria deviata.
Ho deciso di parlare con lui del rapporto tra organizzazioni criminali e corruzione, anche alla luce della relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia, nella quale si sottolinea la bontà della riforma del codice antimafia.
Leccese, il nuovo codice antimafia è stato oggetto di aspre critiche con riferimento alla possibilità di applicare le misure patrimoniali ai sospettati di corruzione…
Ecco, su questo punto bisogna fare chiarezza. Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa. Nel nuovo codice antimafia c’è una norma che applica le misure di prevenzione – quelle patrimoniali fanno certo più paura – anche agli indiziati del delitto di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. L’indiziato non è affatto il sospettato, come è stato impropriamente sostenuto, ma è in ultima analisi il colpevole che l’ha fatta franca. Come ben sai, il processo penale è un percorso lungo e pieno di buche, per usare un vocabolo che va tanto di moda. Dove non arriva il processo penale, possono arrivare le misure di prevenzione. Nel procedimento di prevenzione, col semplice sospetto non si va lontano. Servono elementi molto solidi: non sono necessarie prove, ma quasi-prove. Eppoi, per confiscare i beni dell’indiziato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, bisogna dimostrare che i beni sono sproporzionati rispetto alla capacità economica lecita. «Caro indiziato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione – chiederà il giudice – come fai a girare in Ferrari se guadagni 0 euro al mese?» Insomma, non sarà poi tanto semplice confiscare i beni a quei pochi “imputati-ma-non-condannati-per-associazione-per-delinquere-finalizzata-alla-corruzione-che-l’hanno-fatta-franca”! Una categoria che a lume di naso non credo sia tanto numerosa…
La norma infatti mi pare abbia subito delle modifiche…
Esatto, è stato il Senato a inserire il riferimento alla associazione per delinquere. Quella degli “indiziati di corruzione” sarebbe stata sicuramente una platea più estesa. Per tornare alla critiche, a me pare che esse abbiano soprattutto una certa base culturale. Per taluni non è accettabile l’accostamento del mafioso al corrotto. Eppure è ormai evidente che le mafie più evolute prediligono proprio la corruzione come strumento per infiltrarsi negli appalti e nei sub-appalti. Le resistenze contro una norma così timida – diciamocelo – a contrasto delle mazzette sono dunque sintomatiche di un incomprensibile e ahimè diffuso buonismo verso i corrotti…
Dunque i mafiosi non minacciano più…
A dire il vero, le mafie per loro natura non hanno bisogno di minacciare. La delinquenza mafiosa esercita un controllo economico sul territorio grazie alla sua forza intimidatrice e alla sua capacità corruttiva. Difficilmente passa alle minacce e alla violenza perché queste condotte suscitano allarme nell’opinione pubblica e attirano l’attenzione degli inquirenti. Se c’è bisogno di aggiudicarsi un appalto, meglio pagare una tangente. Si raggiunge l’obiettivo senza rischiare troppo. Clan e corrotti traggono vantaggi reciproci dall’accordo corruttivo e faranno tutto il possibile perché esso rimanga segreto. Improbabile che si presentino dalla polizia per vuotare il sacco… Corrotti e mafiosi vanno d’accordo perché hanno spesso la stessa visione del mondo e coltivano lo stesso familismo amorale, la stessa concezione predatoria della cosa pubblica. Come scrisse Leopoldo Franchetti, «il patrimonio pubblico è di chi se lo sa prendere».
Falcone ci disse che la mafia, come tutti i fenomeni umani, avrà una fine. Ma quando?
Caro Alessandro l’ho ordinata su un sito internet ma non mi è ancora arrivata la mia personale sfera di cristallo. La scorsa legislatura partiva col grido d’allarme di Nando dalla Chiesa: erano poche a suo dire le personalità del mondo antimafia approdate in Parlamento e con incarichi istituzionali. Eppure sul fronte della lotta alle mafie sono state approvate norme apprezzabili. Penso al nuovo 416-ter sul voto di scambio politico-mafioso che, seppur perfettibile, è oggi decisamente più efficace della “norma-fantasma” del 1992. O appunto alla riforma del codice antimafia che ha istituito un giudice specializzato distrettuale per le misure di prevenzione. La mafia si combatte soprattutto col recupero delle ricchezze illecitamente accumulate, mettendo in campo specifiche professionalità. Quindi speriamo che si continui così e che si faccia ancora di meglio e di più, collocando la lotta alla mafia tra le priorità dell’agenda politica.