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Ex Fenice: Ripartiamo da capo ma sospendiamo l’AIA

22 luglio 2018 | 18:15
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Ex Fenice: Ripartiamo da capo ma sospendiamo l’AIA

Associazione Ambiente e Legalità: “Bisogna sospendere l’AIA concessa e la società faccia tutti i ricorsi che desidera ma il principio di precauzione va applicato”

Stabiliamo un punto zero ma non già ambientale quanto amministrativo, i tempi sono maturi per farlo. Bisogna sospendere l’AIA concessa e la società faccia tutti i ricorsi che desidera ma il principio di precauzione va applicato specie perché emerge la compromissione delle acque potabili e vi è un grave pericolo alla salute pubblica.

Ricapitoliamo: nell’ottobre del 2011 il G.I.P. emise ordinanza di applicazione della misura degli arresti domiciliari e di altre misure interdittive nei confronti di 14 soggetti fisici e giuridici per fatti che erano connessi in buona parte all’inquinamento delle falde acquifere sottostanti il sito del termodistruttore di Fenice.

L’inquinamento si manifestò sin dal 2002 ma venne dichiarato agli organi competenti prima da Arpab- il 3 marzo 2009, art. 244 del 152/06- e poi da Fenice- il 12/3/09 art. 242 stesso d.lgs.-. Il processo si è incamminato stancamente fino al luglio del 2017 con la prescrizione dei reati ascritti e l’esclusione del disastro ambientale non mancando di rilevare nel dispositivo di sentenza le inadempienze diffuse da parte della P.A. sulla vicenda sia per mancata attivazione dei controlli e sia per mancato accertamento delle conseguenze dei danni prodotti all’ambiente e sulla salute dei cittadini. Adesso siamo ad una nuova iniziativa penale ed alle incombenze della magistratura ma non possiamo non esaminare quanto accade in sede amministrativa tanto da giustificare “il fermo” dell’impianto.

Appare del tutto evidente che la MISE iniziata dopo la fase di caratterizzazione e completata nel 2011 non ha sortito gli effetti sperati, la MISO-Messa in Sicurezza Operativa- non è mai partita e la bonifica ad oggi è in fase sperimentale e produce altro inquinamento. A detta di Fenice  le cause della contaminazione erano state eliminate, eseguendo: l’impermeabilizzazione dei bacini di contenimento delle sezioni di “depurazione fumi”, delle linee forno a griglia e forno rotante; il rifacimento dei collettori e sub-collettori della rete tecnologica e dei canali di raccolta stillicidi e vasche di calcestruzzo; la verifica di tutte le reti fognarie tecnologiche; il risanamento dei tratti risultati non a tenuta della rete fognaria tecnologica o  rifacimento integrale e revisione degli innesti di tutti i punti di immissione nei collettori fognari.

Si era creduto così di aver eliminato le cause dell’inquinamento, si sarebbe potuto passare alla bonifica non prima di aver costruito una barriera idraulica composta da 40 pozzi che avrebbero prelevato, in parte, le acque di falda e così ai 9 piezometri di monitoraggio sarebbe arrivata acqua conforme ai valori di CSC, si pensava. Nulla di tutto questo è accaduto!

Il TAR, inoltre, dispose che per ordinare a Fenice l’estensione dell’ubicazione dei punti di indagine anche sui terreni di proprietà altrui, posti a valle, bisognava accertare il superamento dei valori di CSC nelle acque sotterranee dei predetti terreni confinanti. La rete di 6 piezometri in terreno ex Sata sono stati realizzati al costo di circa 100 mila euro e sono divenuti operativi nell’Ottobre 2015. Il costo, ora, dovrà essere rimborsato da Rendina Ambiente perché quei piezometri hanno dimostrato, ampiamente, la presenza delle stesse sostanze inquinanti presenti nei terreni di proprietà di Rendina -Ambiente ed è stata la magistratura a rilevarlo.

Con Arpab siamo alle solite, il  monitoraggio eseguito ad Ottobre 2015 e rimasto nei cassetti degli enti destinatari e noi con un accesso civico li abbiamo fatti tirare fuori ed hanno visto la luce il 9/2/2017, di pari passo è arrivata una comunicazione Ispra richiesta dal Comune di Melfi circa il progetto di monitoraggio dei terreni a valle di Rendina Ambiente: bisogna procedere a campagna unitaria tra le due reti piezometriche, la prima a monte in area di proprietà Rendina Ambiente- 9 piezometri- e la seconda a valle in area di proprietà FCA-6 piezometri- dopo aver organizzato un modello concettuale di rilevazione.

Nulla di tutto questo è accaduto, la documentazione è rientrata nei cassetti ed ora, a quanto affermato dai magistrati l’inquinamento ha compromesso anche le acque potabili. Bisogna ripartire da ZERO, dai carteggi del 2011 affidando però tutto ad ISPRA e non già ad ARPAB così come è avvenuto in Val d’Agri e, alla buon’ora, dopo aver avuto certezza che la MISE funzioni si parta con la bonifica.  Per fare tutto questo si sospenda l’AIA e per Rendina Ambiente è giunta l’ora di prendere o lasciare ma solo dopo aver bonificato. Ad oggi la Basilicata è in grado di fare a meno di quel “chiacchierato” inceneritore nella gestione dei rifiuti.

Associazione Ambiente e Legalità – Pio Abiusi