La Basilicata dei campanili e la politica di seconda mano

17 aprile 2018 | 18:35
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La Basilicata dei campanili e la politica di seconda mano

Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare (Seneca)

E’ di qualche giorno fa la polemica alimentata da alcuni esponenti politici potentini perché la Regione ha stanziato per San Gerardo 67.000 euro, mentre per la madonna della Bruna a Matera 200 mila euro.  Apriti cielo. Non sapevo di questi finanziamenti regionali alle feste patronali. In ogni caso la differenza di risorse tra le due manifestazioni può essere giustificata in qualche modo, come ha provato a fare la Regione con un comunicato stampa.  Al contrario non è più giustificabile assistere a inutili campanilismi dai contorni tribali, specie se armati dalla politica e da essa strumentalizzati.

I polemisti di piccola taglia ritengono che sia inaccettabile tale differenza di trattamento perché la festa di Matera coinvolge 50 cavalieri mentre quella di Potenza coinvolge 1200 figuranti. Vuoi mettere? Queste singolar tenzoni mi ricordano molto le scaramucce tra noi scolari, quando il maestro appariva imparziale nel distribuire insulti e complimenti.

Non bastano i politici incapaci del bene comune, inadeguati nell’azione di governo, arruffoni e pasticcioni. Adesso bisogna preoccuparsi anche dei campanari sempre pronti ad allargare l’ansola del batacchio.

In questa Regione, purtroppo, i campanari ad ogni livello della vita sociale e politica, sono ancora molti. Fai l’Enoteca regionale? Ecco che il batacchio si agita e devi farne due provinciali (inutili): una a Potenza e una a Matera. Tant’è che non funziona nessuna delle tre. Fai il Capodanno Rai? Ecco che le campane suonano a lamento da un campanile all’altro.

L’idea che la parte è nel tutto e il tutto sia in ogni parte è evasa dalla testa di molti o forse non ci è mai entrata. Se questa regione vuole davvero intraprendere percorsi di sviluppo deve anche evitare queste guerre di quartiere medievali che segnalano sintomi culturali patologici, molto pericolosi.

Una cultura del campanile che non è capace di vedere le connessioni con il tutto e metterle a valore, danneggia gli spazi della complessità necessari all’innovazione. Una cultura, viceversa, che mortifica le appartenenze locali, le radici identitarie e disconnette quelle radici tra loro escludendo il tutto, uccide il dinamismo necessario ai cambiamenti.

In questa cultura si insinua una politica di seconda mano praticata da politici con le pezze al cervello.

Siamo alle solite. Quando un nodo di sviluppo si affaccia sulla scena, tutti lì a morsicarlo, evitando che i fili si connettano tra loro e si trasformino in una rete di opportunità. E’ il destino toccato a Matera 2109, tanto per fare un esempio. Anziché aspettare che la torta sia pronta e cresca, anziché immaginare e sviluppare ciò che si può costruire intorno alla torta, sono corsi tutti a leccarla, tutti a reclamarne una fetta. Impoverendo le potenzialità di un evento che solo dopo l’esplosione genuina delle sue energie avrebbe potuto trainare il resto. E invece tutti a salire sul carro, appesantendolo, rallentandolo, indebolendolo, già alla partenza.

E’ così che un’opportunità muore e si trasforma in banalità. Le reti e le connessioni per lo sviluppo appartengono alle categorie della complessità. Ma qui siamo abituati ad altri approcci, da secoli.

In modo che quando si prova a semplificare, allora diventa tutto superficiale. Quando si prova ad affrontare la complessità, si preferiscono le complicazioni. Armonizzare le potenzialità di un territorio vuol dire affrontare la complessità e innescare le micce dello sviluppo. Mettere in conflitto le potenzialità, non riconoscerne le differenze e le prevalenze, vuol dire prendere a calci il futuro.  Così finiremo, tanto per citare Churchill, di vedere il pericolo in ogni opportunità.