Reddito di cittadinanza, i poveri non sanno cos’è

9 marzo 2018 | 20:45
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Reddito di cittadinanza, i poveri non sanno cos’è

Bollate con la lettera scarlatta di “falliti sociali”, nemmeno le vediamo più le persone che fanno i conti ogni giorno con quello che non hanno, non sono e, probabilmente, non saranno

Qualche giorno prima delle elezioni ho incontrato alcune persone, e se non me lo avessero detto non avrei immaginato che fanno fatica a garantire pranzo e cena ai propri figli. Con la dignità che portano cucita addosso, se non me lo avessero confessato, non avrei immaginato che non possono permettersi di accendere il riscaldamento in casa o farsi una doccia calda. 

Io sono un emarginato sociale”: mi ha detto Pietro. “Non lavoro, ci ho provato nel petrolio, ma a me non mi hanno preso”. Il petrolio, o meglio l’indotto che si è creato attorno alle estrazioni di greggio in Val d’Agri e nella Valle del Sauro, in Basilicata, per molti è visto come unica salvezza in una terra in cui il lavoro è ormai un miraggio.

Gli chiedo perché non ha fatto domanda per il Reddito minimo di inserimento: non sa cosa sia. Si arrangia con qualche giornata nei campi, ma scarseggiano anche quelle ormai. 

Pietro e gli altri mi hanno raccontato le cadute e i tentativi di risalita. Hanno fatto mea culpa per i loro errori: intoppi con la giustizia, fallimenti matrimoniali o patrimoniali, che li hanno portati nel precipizio.

Come mi arrampico scivolo”. Marisa, che almeno non ha figli, si attacca alla vita come può, non vuole mollare e mi chiede: “Che devo fare, mi devo uccidere?” Aveva un’attività, e un’esposizione con le banche che non è riuscita a coprire. Ha perso tutto, anche di più di quello che doveva restituire. Stritolata da una procedura fallimentare fin troppo famelica, non si vergogna ad ammettere “ieri ho mangiato grazie all’invito a pranzo di un’amica”.

Antonietta, è separata e non percepisce alcun assegno di mantenimento dall’ex marito. Tuttavia una piccola entrata ce l’ha: è tra i beneficiari del Reddito minimo di inserimento. Con i circa 480 euro percepiti, paga 150 euro di affitto, “stando attenta ai consumi, attacco lo scaldabagno per l’acqua calda solo se necessario-mi racconta fiera- alcune volte riesco anche a dare dieci euro a mio figlio”.

Bollate con la lettera scarlatta di “falliti sociali”, nemmeno le vediamo più le persone che fanno i conti ogni giorno con quello che non hanno, non sono e, probabilmente, non saranno.

Per andare fuori dalla Basilicata dovrei avere i soldi, lo capisci che con tre figli per me è difficile anche solo pensare di spostarmi dal mio paese? E’ visibilmente infastidito dalla mia domanda Biagio. Non sono la prima che gli chiede perché non se ne va a cercare lavoro fuori.

Al momento, Biagio, lavora un giorno a settimana per un’azienda a Melfi, il resto dei giorni, si arrangia come può. “Per ora va così, tra qualche mese, quando avrò chiuso i conti con la giustizia…”. Mi racconta la sua ‘disavventura’: dopo venti giorni di carcere per una falsa testimonianza, aspetta l’ultima udienza del processo e spera di tornare ad essere finalmente libero di poter guardare al futuro.

Inevitabile, nel corso della lunga conversazione, il riferimento alle elezioni che si sarebbero tenute di lì a pochi giorni: per alcuni di loro “l’ultimo dei pensieri”, per altri una speranza da mettere nelle mani “dei nuovi” per “dargli fiducia dopo averla data a quelli vecchi”.

Nessuno fa riferimento al Reddito di cittadinanza. Nemmeno ne hanno sentito parlare.

I poveri, quelli veri, non hanno il tempo di informarsi, probabilmente nemmeno i mezzi. E nemmeno sanno che in un Paese che tanto ama definirsi civile, non dovrebbero esistere. Se hanno fede possono solo raccomandarsi al Signore. Il tempo, per mettersi in fila davanti a un Caf, non è un lusso che possono permettersi.

Nelle storie degli altri, e soprattutto di quelli che apparentemente non avrebbero nulla da raccontare, eminenti giornalisti e politici ‘sfanculati’ dai risultati elettorali, avrebbero potuto trovare ispirazione per il loro lavoro e per i loro programmi.

Nulla di tutto questo, hanno preferito raccontarci la storiella “dell’uomo nero” salvo poi scoprire che la povertà, a urne chiuse, poteva essere utilizzata per tratteggiare un Paese spaccato in due: da una parte i razzisti dall’altra i fessi, sfaticati (terroni) abituati ad essere mantenuti.