Legalità, competenza politica e arroganza radical chic

18 marzo 2018 | 09:50
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Legalità, competenza politica e arroganza radical chic

Abbiamo incontrato lo scrittore Leonardo Palmisano (autore di Mafia Caporale e Ghetto Italia) a Bari, per un commento a freddo sul voto del 4 marzo scorso

Abbiamo incontrato lo scrittore Leonardo Palmisano (autore di Mafia Caporale e Ghetto Italia) a Bari, nella Libreria Campus per un commento a caldo sul voto del 4 marzo scorso.

Leonardo Palmisano cosa è mancato in queste elezioni? Quali sono stati i temi completamente assenti dal dibattito?

Uno dei temi completamente spariti da alcuni dei programmi e non soltanto dal dibattito è quello della legalità. A me sembra che quella che era la maggioranza ossia il Pd si sia accontentata di aver approvato il nuovo codice Antimafia e una legge contro il caporalato.

Ma non ha affrontato, ad esempio, il tema del carcere duro, la riforma della Giustizia, la riforma carceraria. Forse, anche perché durante la scorsa legislatura è morto Marco Pannella. Né la Bonino ha saputo farne un tema della propria campagna elettorale. Questo, per quanto riguarda il centro-sinistra.

A sinistra è mancato fortemente il tema del lavoro e cioè al di là di alcune prese di posizione dei singoli sollecitate dalla stampa contro il Jobs Act e, in verità, neanche molto forti, è mancata una organica proposta di riforma del mercato del lavoro come un marcato piano industriale.

Sì e proceduto per spot che al centro ponevano il tema della fiscalità e cioè della detassazione che è un tema tutto di destra. Tanto è vero che Berlusconi ha potuto fare una campagna elettorale che avremmo potuto ascoltare tranquillamente 20 anni fa, quando vinceva lui e non faceva vincere la Lega.

C’è stato un eccesso di presenza fisica nella campagna elettorale di Salvini che tuttavia è riuscito straordinariamente a portare la Lega da un piccolo 6% al ruolo di primo partito del centro-destra. Non dimentichiamo che Salvini andava in giro con una felpa su cui erano evidenti i luoghi visitati. Secondo me lo ha favorito molto il fatto anche di visitare le periferie raccogliendo insulti.

In questo modo ha costruito un’interlocuzione efficace con la stampa, destando continuo scandalo quando andava in giro e creando un’aspettativa nella stampa, che ne conosceva la notiziabilità. Nella fase successiva ha raccolto il dissenso trasformandolo in consenso. Proprio come hanno fatto a partire dagli spettacoli di Beppe Grillo nel Movimento 5 Stelle. Che ha mantenuto inalterati i temi anche perché il paese sostanzialmente negli ultimi anni non è cambiato.

Il MoVimento 5 Stelle negli ultimi 5 anni stando all’opposizione è riuscito a coagulare consenso fruendo soprattutto del crescente malcontento nei riguardi del PD e della figura di Renzi. A mio avviso è mancata nei programmi di tutte le liste l’armonia.

A conti fatti, mi sembra che in ciascuno dei programmi ci fossero delle contraddizioni. In taluni casi addirittura lampanti. Ad esempio non ho ben capito come conciliare la prima uscita di Grasso sull’annullamento delle tasse universitarie con proposte universaliste su molti altri temi; o le critiche dello stesso Grasso su alcune proposte dei 5 Stelle delle quali veniva posta in dubbio la sostenibilità finanziaria.

In fondo, allo stato attuale l’università non è sostenibile senza il contributo di tasse erogato dalle famiglie. Che, nell’attuale assetto, permette al sistema Universitario di reggere. Il PD sembra essere in una fase di autoscioglimento all’indomani delle elezioni con l’avvio di un dibattito interno che sembra essere l’ennesima guerra che esclude elettori e militanti. Liberi e Uguali non sembra voler diventare un partito, anche perché non ci sono le basi oggettive perché lo diventi.

Il centro-destra dal suo canto sembra sfrangiato. Salvini si è immediatamente intestato la vittoria del centro-destra per essere smentito ventiquattro ore dopo dallo stesso Silvio Berlusconi, che rivendica a sé il proprio ruolo di garante della tenuta della coalizione. Confliggendo, in verità, col dato politico elettorale.

Il silenzio del MoVimento 5 Stelle fa sì che si dimentichino le contraddizioni pur presenti nel loro programma che prevalentemente vanno a porsi sul piano della sostenibilità economica. Il fatto che a riproporre tali contraddizioni sia proprio il Partito Democratico è chiaramente un boomerang.

Soprattutto in virtù del fatto che siamo già usciti dalla campagna elettorale con un esito elettorale abbastanza chiaro. Finendo per fare il gioco del MoVimento 5 Stelle che, forte della propria vittoria, tende a non rispondere alle obiezioni.

Secondo lei come si potrebbe far coagulare la maggioranza invisibile di precari, disoccupati, sottoccupati, neet, altre categorie deboli e, potremmo anche aggiungere, di meridionali che in qualche maniera sono stati tirati dentro il dibattito post elettorale? Perché questa maggioranza è ancora estranea al dibattito politico?

Io penso che ci siano sostanzialmente tre vie. Non è vero che in presenza del MoVimento 5 Stelle, che al sud è effettivamente la prima forza elettoralmente irraggiungibile, non vi sia più necessità di movimenti.

Al contrario vi è bisogno di movimenti che partano dalla società ma non dal web, dalla società virtuale, bensì dalla piazza. Per poi trasferirsi anche all’interno del web. Se vogliamo Potere al popolo con la sua piccolissima percentuale, rappresenta in nuce qualcosa del genere.

Partire dall’esistenza di reti sociali concrete come quella dei no Tav, di quel che resta dei centri sociali o altre aggregazioni non soltanto temporanee, le reti associative, le reti di persone vicine alle Ong sottoposte a una serie di attacchi da parte del Partito Democratico.

Mettere insieme tutte queste reti per creare quello che un tempo avremmo definito banalmente movimento di movimenti, facendo un po’ il processo inverso rispetto a quello che ha fatto il MoVimento 5 Stelle, partendo da una base concreta con una presenza sul territorio. Il PD ad esempio non ha più una grande presenza sul territorio producendo una grande rarefazione di voti.

L’altra via già praticata dal Movimento 5 Stelle è rappresentata dal passaggio sul web. La discussione sul web è invero fintamente democratica, soprattutto se avviene sotto un qualcosa di detto scritto da altri ad esempio su un blog in quanto rimane una comunicazione dall’alto verso il basso che può tuttavia tradursi in consenso elettorale.

La terza via che è meno praticabile al momento è quella di riformare i contenitori attuali riportandoli sul territorio. Una qualsiasi ipotesi di ristrutturazione del partito in chiave classica non funzionerebbe per due motivi. La variabile tempo; la decisione e il dibattito devono avvenire in tempi molto rapidi il militante deve essere sempre più preparato giungendo ai dibattiti con un fondamento solido di conoscenza.

Per non soccombere sotto un dibattito in modalità web occorre formare quadri dirigenti. La seconda grande variabile è quella della competenza politica. Una critica che viene spesso mossa al Movimento 5 Stelle è quella di una diffusa mancanza di competenza tecnica.

Invece io penso che soffrano soprattutto di una mancanza di competenza politica. Ad esempio la mancanza di competenza di lettura dei processi non manca spesso non soltanto al Movimento 5 Stelle ma anche all’interno del Pd.

L’attuale gruppo dirigente del Pd è un gruppo di incompetenti della politica. Sono incapaci di leggere i processi reali e soprattutto il danno prodotto al paese dallo stesso PD. Manca competenza politica anche all’interno del gruppo dirigente di Liberi e Uguali che ha anteposto la propria provenienza politica all’analisi del presente. E questa arroganza radical-chic li ha portati alla morte.

Una morte decretata non da me, ma dagli elettori che radical-chic evidentemente non sono. Ci sono invece delle competenze all’interno della Lega anche forti. Vi è una consolidata competenza politica in Silvio Berlusconi che ha giocato sul tempo dopo aver spaccato il patto del Nazzareno, attendendo che Renzi si logorasse, attribuendogli quelle stesse caratteristiche di arroganza che erano tipiche del primo Silvio Berlusconi. Dentro questo quadro vedo tre vie e sicuramente la riforma dei partiti non è quella più immediata.