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Mango: la poesia è lo scoppio d’un glicine

8 febbraio 2018 | 12:18
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Mango: la poesia è lo scoppio d’un glicine
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Mango: la poesia è lo scoppio d’un glicine
Mango: la poesia è lo scoppio d’un glicine

Con Mango poeta, in certo senso, si ritorna indietro, ma con cura dello stile, alla poesia soggettiva, lirica, fondata sulle immagini

La circolazione, per Pendragon (Bologna), dal 2016, di “Tutte le poesie” di Mango Giuseppe (Pino), nato a Lagonegro, e notissimo cantautore, dalla intensa vocalità, consente di avviare più d’una riflessione sulle forme attuali della poesia e i suoi travestimenti.

Inoltre, con il Nobel a Bob Dylan, motivato per avere “creato una nuova poetica all’interno della tradizione canora americana” si constata la già accertata osmosi fra canzoni e poesia, al di là delle separatezze letterarie invocate da V. Magrelli.

In vero, dal 1975, la poesia ha registrato una crisi di visibilità sociale, accentuata dalle spinte formali degli sperimentalismi, a volte dadaistici o ironici, come i versi de “Il rovescio della pelle “ o di “Moritoio marginale” o “Vetri riflettenti”, un urto di antipoesia, una dissonanza cognitiva che però tentava il superamento del lirismo tradizionale o della ‘poesia confessionale’, volta al semplice ricalco dei moti del cuore.

A queste forme di poesia filosofica, lungo gli anni Ottanta, si aggiunse la poesia performativa, che va alla prova del palco, insieme alla musica ed al gesto teatrale, di cui resta esemplare, per me, la vicenda del performer Yzu Albano, bolognese ma nativo di Pignola o le azioni di Lello Voce.

Con Mango poeta, in certo senso, si ritorna indietro, ma con cura dello stile, alla poesia soggettiva, lirica, fondata sulle immagini ( sulla scia di J. Lennon e di S. Plath), al suono delle “cordicelle del cuore”, alla insistita fenomenologia del suo amore, ai versi che scaturiscono dalle spinte emozionali del desiderio, con il pericolo di un aggiornamento di A. Aleardi, che suscitò le frecciate di Papini.

Intanto il lettore deve sapere che l’opera poetica di Mango si connota in tre volumi, qui ben raccolti da Pendragon, e cioè:” Nel malamente mondo non ti trovo” (2004), “Di quanto stupore” (2007), “I gelsi ignoranti (ovvero “Il talento delle rose” (2014),che Mango sperava di “chiudere per l’autunno…( e che considerava un) altro momento di intimo orgoglio, dove le tragedie si intrecciano con le storie dei sentimenti”, come annota (p.157)”.

Sempre in quella densa nota, Mango definisce la “poesia…un bene prezioso” che per lui costituiva un “ innamoramento mai finito”, tanto lo scavo nella musica si miscelava in lui alla ricerca delle immagini più raffinate, in forme di panismo crescente, per cui nell’universo vibra il suo amore e la tensione verso la parola raffinata e risuonante.

E perciò conclude che la poesia è “ come lo scoppio d’un glicine quando non ne può più di nascondersi alla primavera e allora il suo profumo scivola dai grappoli” e si espande nell’aria, giù verso la sua amata costa tirrenica.

Per Mango la poesia è un “arcobaleno dei sentimenti” che cercano le parole giuste per fermare un’immagine di bellezza, che sembrerà esistere di suo, quasi non creata dal poeta ma natura altra scoperta attraverso un libro. Questa è la coerenza interna delle tre raccolte, variegate sul tema dominante dell’amore materialistico per Lei, che non è angelo di paradiso ma donna concreta che si muove nel cielo, nell’aria intorno al poeta.

Nessuna predominante simmetria metrica, qualche vezzo per la ripetizione, con spunti ottativi ed esclamazioni retoriche; rare rime baciate ma più spesso spezzate e con cadenze narrative ed elenchi, anche di ossessioni. Su tutto si spande un sensualismo che s’ammanta di sinestesie ( “ di che colore è il suono delle campane?”), Mango ha un corpo erotico, un intelletto sposato al principio del piacere, vive della beata confusione della Natura spirituale della Romantik, sensibilità di cui sembra un accanito quanto riuscito epigono.

Antonio Lotierzo