Bisogna pensare a un modo nuovo di investire al Sud ma, soprattutto, bisogna tornare a farlo

19 febbraio 2018 | 10:39
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Bisogna pensare a un modo nuovo di investire al Sud ma, soprattutto, bisogna tornare a farlo

I temi principali dei dibattiti di questa campagna elettorale appaiono chiaramente molto lontani da quelli che dovrebbero essere al centro dell’attenzione

I temi principali dei dibattiti di questa campagna elettorale appaiono chiaramente molto lontani da quelli che dovrebbero essere al centro dell’attenzione.

L’aumento del numero di poveri degli ultimi anni è impressionante e riguarda soprattutto il Mezzogiorno del paese. Secondo Istat, sono ormai più di 18 milioni gli italiani a rischio povertà o esclusione sociale. Di questi, il 46.9% si trova al Sud. Tale percentuale è cresciuta anche rispetto al terribile 2015, quando era al 46.4%.

A fronte di una costante riduzione dei fondi per la ricerca e per le università, il colpo più importante lo hanno ricevuto, ça va sans dire, le università meridionali. Il Rapporto del Public Funding Observatory EUA 2017, fa notare che lo stanziamento di 6,9 miliardi di euro per l’università italiana del 2016 è persino inferiore del 5,1 per cento rispetto alla cifra stanziata per l’istruzione terziaria nel 2010. 

Nello stesso periodo, in Germania la crescita di stanziamenti è risultata del 33.1%. Qualcuno potrebbe obiettare che le “coperture” possano scarseggiare. Vero solo in parte, ove si consideri che negli ultimi anni sono aumentate le spese militari. Proprio secondo il Rapporto MIL€X 2018 nell’ultimo anno l’Italia spenderà 25 miliardi di euro (1,4% del PIL), un aumento del 4% rispetto al 2017. Badate bene al fatto che in ricerca l’Italia investe solo l’1.34%. Le nazioni che presentano più spiccata tendenza alla crescita sono proprio quelle che più hanno investito in ricerca e sviluppo industriale.

Bisogna pensare a un modo nuovo di investire al Sud ma, soprattutto, bisogna tornare a farlo (occorrono risorse pubbliche in conto capitale al Sud). Occorre, con altrettanta urgenza, pensare a come accelerare la transizione energetica nel nostro paese verso nuove forme di approvvigionamento e dispacciamento, impiegando soprattutto risorse rinnovabili negli edifici.

Sono troppi i silenzi su questi temi fondamentali mentre sono tantissime le discussioni su tematiche sistematicamente irrilevanti. Questo, forse volutamente, non aiuterà i cittadini a compiere scelte consapevoli il 4 di marzo.

Bisognerebbe porsi alcune domande che forse potrebbero aiutare soprattutto gli indecisi:

– il candidato che sto per votare e il suo partito che posizione hanno assunto, ad esempio, sulla riforma costituzionale che gli italiani hanno respinto con il referendum?

– Il candidato che sto per votare e il suo partito che scelte hanno compiuto in materia di ambiente ed energia? Cosa intendono fare?

– Soprattutto in virtù della mia personale condizione economica e sociale, quale movimento o partito potrebbe rappresentare le mie reali esigenze in Parlamento?

Qualcuno propone presunte “aliquote uniche” sostenendo che siano più eque, quando, in realtà, adottiamo e incrementiamo meccanismi di tassazione indiretta come l’imposta di valore aggiunto (IVA) che, a ben pensarci, rappresenta la forma di tassazione più iniqua che possa esistere in quanto uguale per tutti a prescindere dal reddito.

In merito, vale la pena ricordarlo, resta ancora in piedi l’art 53 della Costituzione che prevede imposte di carattere progressivo (“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”).

Visto che tra i meridionali va di moda la tendenza a votare la Lega che si è riscoperta patriottica e tricolore, occorre ricordare che il federalismo così come è stato applicato in Italia a seguito della riforma del Titolo Quinto ha alquanto azzoppato il Mezzogiorno. Questo lo si può asserire senza timor di smentita dando una facile analisi delle statistiche degli ultimi due decenni (Istat, Svimez, Cgia).

Dopo quindici anni di federalismo e le politiche di austerity, nel 2014 il rapporto tra il pil pro capite del Sud e quello del Centro-nord aveva raggiunto lo stesso valore (56.3%) che aveva nel secondo dopoguerra (1954). Con le loro ricette neoliberiste, in questi anni, hanno saputo riprodurre abilmente gli effetti economici di un conflitto mondiale.

Alcuni divari sono innegabilmente aumentati, come il triste fenomeno dei migranti della sanità da Sud verso Nord. In mancanza di uniformità nei Livelli Essenziali di Assistenza, previsti proprio dalla riforma del Titolo V del 2001 (Art. 117 lett.m) che dovrebbero – almeno in teoria – essere garantiti in modo uguale su tutto il territorio nazionale, i malati tendono a spostarsi per interventi importanti in regioni in cui il livello dei servizi è più alto. Secondo Demoskopika, 306.000 mila calabresi tra il 2009 e il 2013 hanno migrato verso altre regioni per le cure, originando una spesa di quasi 1.8 miliardi di euro.

Si obietterà che molte regioni del Mezzogiorno non hanno saputo opportunamente utilizzare le proprie risorse in materia di trasporti e Sanità. Nel frattempo, il governo centrale riduce i trasferimenti in ottica federalista, mentre le regioni aumentano Irpef regionali e comunali.

Per cui, quando vi promettono riduzione della pressione fiscale e aliquote geniali e specialissime, ricordatevi che, dovendo i saldi restare invariati, assai presumibilmente il vostro sindaco e il vostro governatore, ricevendo meno risorse, aumenteranno più o meno a malincuore le aliquote a livello locale.

Consiglio a tutti coloro che il 4 di marzo intendano entrare in cabina elettorale per apporre il proprio voto di dare una vigorosa ripassata al testo della nostra Costituzione e di sottoporre a quel vaglio proposte e programmi dei partiti. Alcuni, forse in troppi, hanno realmente bisogno di riscoprirsi cittadini, prima di continuare a farsi trattare da sudditi.