Cosa succede in Basilicata? Perché chi tocca il petrolio muore?

23 novembre 2017 | 15:36
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Cosa succede in Basilicata? Perché chi tocca il petrolio muore?
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Cosa succede in Basilicata? Perché chi tocca il petrolio muore?

Pedicini (M5S): “Suicidi, malattie e devastazione. Per fermare lo scempio serve una protesta popolare come quella di Scanzano del 2003”

Il suicidio dell’ex generale dei carabinieri Guido Conti di pochi giorni fa e quello dell’ingegnere dell’Eni Gianluca Griffa del 2013, di cui si è appreso da poco, lasciano sgomenti e provocano rabbia e dolore.

Potremmo dire che si tratta di coincidenze e di vicende personali, ma gli elementi di valutazione che abbiamo a disposizione dicono tutt’altro.

L’ex generale Conti il primo novembre scorso aveva iniziato a lavorare in Basilicata come direttore esecutivo Ambiente e Sostenibilità della Total, poi inspiegabilmente, dopo circa 15 giorni di attività, si è dimesso.
Due giorni dopo, una volta tornato dalla sua famiglia a Sulmona, si è suicidato. Prima del drammatico gesto, secondo alcune testimonianze, appariva molto turbato e aveva fatto cancellare tutti i file del suo computer personale.

Molti giornali si sono chiesti se sia possibile che “l’ex generale in due sole settimane, abbia visto qualcosa che lo abbia sconvolto al punto da spararsi. Possibile che lui, ufficiale con l’innato senso dell’onore, si sia trovato in contrasto con aspetti che non poteva accettare rivestendo il nuovo incarico alla Total?”

L’altro strano suicidio, è quello di Gianluca Griffa, l’ingegnere dell’Eni che lavorava al Cova di Viggiano e nel 2013 si tolse la vita lasciando un memoriale in cui esprimeva dubbi sul corretto funzionamento dell’impianto petrolifero lucano.

Entrambi i drammi hanno un unico filo rosso che li collega: le estrazioni petrolifere in Basilicata. Su entrambi gli episodi sta indagando la magistratura e ci auguriamo che si faccia subito e piena chiarezza.

Però, a parte gli aspetti giudiziari, non possiamo ignorare quanto sia grave quello che sta avvenendo e abbiamo il dovere di fare qualcosa di immediato e concreto sul piano politico e istituzionale.

Mai come in questi casi deve scendere in campo la politica con la P maiuscola, quella del buon senso e del bene comune. Sappiamo che intorno al petrolio lucano ci sono appetiti e interessi di vari miliardi di euro all’anno, ma adesso è giunto il momento di dire basta.

Bisogna fermarsi prima che sia troppo tardi. Il prezzo che la Basilicata sta pagando è troppo alto. Le royalties che vengono incassate non possono giustificare tutto questo. Com’è noto, oltre a questi drammatici suicidi ci sono tanti altri aspetti e emergenze, tutti gravissimi.

Ci sono altri morti, documentati dallo studio della Vis, la valutazione di impatto sanitario, realizzata dal Cnr, in cui è emerso che nei comuni della Val d’Agri c’è una incidenza di mortalità e malattie maggiore che nelle altre zone della regione e che le cause di decesso e di ricovero risultano significativamente associate alla esposizione stimata ad inquinamento di origine Cova-Eni.

E poi, ci sono le nostre preziose falde acquifere inquinate, l’agricoltura e il turismo in ginocchio, il dramma spopolamento, le scorie petrolifere da smaltire, i terreni che diventeranno deserto quando le estrazioni termineranno.
Basta! Occorre una svolta. Se il governo Renzi-Gentiloni, che è ammanigliato con le multinazionali e vuole fare cassa, è pronto a sacrificare la Basilicata, i cittadini e gli enti locali lucani, a partire dalla Regione, non possono più essere complici e accettare che questo accada.

Occorre che si avvii un fronte unico contro il petrolio, così come avvenne nel novembre 2003 quando per dire no al sito unico delle scorie nucleari a Scanzano ci fu una storica sollevazione popolare.

Anche allora c’erano mille interessi, ombre, poteri, collusioni. C’erano il governo Berlusconi che se ne infischiava della Basilicata; c’erano commistioni tra affaristi, istituzioni e politica; c’era un potente generale dell’esercito che presiedeva la Sogin, la società pubblica che doveva realizzare il deposito. Ma, dopo 15 giorni di durissime e storiche proteste, vinse la Basilicata, vinsero i lucani, e il progetto fu ritirato.

I cittadini, Pittella, il Pd, il centrodestra, i sindaci lucani ora dovrebbero fare lo stesso.

Si smetta di continuare a sostenere che è possibile coniugare le estrazioni petrolifere con la tutela dell’ambiente e della salute pubblica, chi ha ruoli pubblici si assuma le proprie responsabilità e esca dall’ambiguità e dall’ipocrisia.

La Regione Basilicata produca fatti e non solo la furba propaganda di Pittella e del giovane assessore regionale all’Ambiente Pietrantuono che sembra appena sceso dalla luna.

Ma se la politica continuerà ad essere complice e ad ignorare quello che sta avvenendo, ci auguriamo che intervenga rapidamente e ancora più a fondo la magistratura. Ci sono varie indagini in corso e c’è un processo appena iniziato davanti al Tribunale di Potenza, qualcosa dovrà per forza avvenire. Siamo fiduciosi.
Occorre fare luce sui due suicidi, sui raccapriccianti dati della Vis e sugli incalcolabili danni all’ambiente e al territorio.
Bisogna evitare che lo scempio continui e, poi, non sapremo come spiegarlo ai nostri figli che troveranno una Basilicata devastata e sempre più povera e marginale.

Piernicola Pedicini – Eurodeputato M5S