La retorica delle stronzate e la rivoluzione fasulla di Marcello Pittella

17 settembre 2017 | 13:54
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La retorica delle stronzate e la rivoluzione fasulla di Marcello Pittella
La retorica delle stronzate e la rivoluzione fasulla di Marcello Pittella
La retorica delle stronzate e la rivoluzione fasulla di Marcello Pittella
La retorica delle stronzate e la rivoluzione fasulla di Marcello Pittella
La retorica delle stronzate e la rivoluzione fasulla di Marcello Pittella
La retorica delle stronzate e la rivoluzione fasulla di Marcello Pittella

Poteva un uomo del sistema, cresciuto “nell’ordine costituito”, rivoluzionare, rovesciandolo, quel sistema? La prima vittima della sua rivoluzione, se quella rivoluzione fosse stata autentica, sarebbe stato lui. Incredibile

Nella storia politica e sociale della Basilicata non si è mai vista tanta demagogia, mai visto tanto spargimento di incenso, quanto negli anni della “rivoluzione pittelliana”. Le caprette ancora non fanno ciao ma tossiscono. I monti non sorridono, piangono. E i lucani continuano a guardare, senza vedere.

Menzogne e stronzate del Potere

Il metodo della menzogna è una vera e propria branca dell’arte retorica. Anche se viene insegnato in luoghi oscuri e non accessibili a tutti. Questo metodo, praticato con maestria dai potenti di ogni sfera (politica, economica, scientifica, mediatica…), è diviso in due campi d’uso: quello delle menzogne vere e proprie e quello delle stronzate. Il campo delle bugie nude e crude è appannaggio spesso dei potentati economici e dell’imprenditoria. Quello delle stronzate è più in uso nella politica. Per fare un esempio del primo uso, prendiamo l’Eni e il suo amministratore delegato. In tutte le salse i dirigenti del cane a sei zampe ci raccontano che l’Eni è un’impresa socialmente responsabile, che rispetta l’ambiente e sostiene lo sviluppo dei territori che ospitano i suoi impianti. Questa è una bugia evidente e sfacciata. Basta vedere i pasticci che la compagnia petrolifera combina in Basilicata e in tutto il mondo. Ma è una bugia necessaria, un mantra contro l’ignoranza degli indigeni che vorrebbero continuare a vivere nella natura selvaggia. Un esempio dell’uso della stronzata, ma ne potremmo fare a bizzeffe, è Marcello Pittella che dichiara che “la Basilicata tira, l’economia cresce e l’occupazione anche.” Questa non è una bugia, perché non puoi dimostrare con una verità il contrario, ma è una stronzata perché le cose che dice sono verosimili ma difficilmente verificabili da un cittadino qualunque. Contestabile dagli oppositori, ma non confutabile da dati che possono essere letti a soggetto, e cioè “come mi conviene”. Le bugie dei potenti dell’industria e dell’economia e della finanza hanno un carattere autoritario, non ammettono il contrario, e cioè non ammettono la verità. Le stronzate hanno un carattere democratico, tutti possono cimentarsi nel contestarle, tutti possono cercare argomenti di confutazione, ma nessuno può stabilire qual è la verità. Per cui le stronzate sono l’arma migliore per confondere gli elettori e per mantenerli fidelizzati. La bugia ha una sua nettezza linguistica, è perentoria, assertiva. La stronzata è argomentata, ma gli argomenti non sono immediatamente verificabili.

Pittella era ed è un bluff

Per esempio, quando Marcello Pittella nel suo programma elettorale ci raccontava il futuro della Basilicata, lo faceva con le tecniche tipiche dell’arte dell’inganno: non narrava bugie, ma stronzate. Grazie a lui e al suo programma elettorale i monti avrebbero sorriso e le caprette avrebbero fatto ciao. Saremmo stati catapultati nel futuro della green economy e della green energy. Saremmo diventati la silicon valley del sud grazie alle eccellenze quali l’Unibas, l’Enea, Basilicata Innovazione, l’automotive, l’Eni e via dicendo. A conclusione di quella campagna elettorale, scrissi che il neo presidente della Basilicata era come un generale che raccomanda alle sue truppe di vincere la guerra, senza fornire strategie, mezzi, equipaggiamenti. Col senno di poi sono costretto a mutare giudizio. Il generale Pittella non era generale. Non era capace di strategie vincenti né aveva truppe all’altezza. Era una specie di sergente da scrivania, al pari del suo predecessore Vito De Filippo, al servizio di ben altri generali della finanza, della politica, delle multinazionali. Incapace di una visione alternativa di sviluppo per la Basilicata, incapace di vedere oltre il proprio latifondo elettorale. Lui è stato un buon diffusore di stronzate utili a vendere le bugie dei suoi superiori. Tanto è vero che la sua rivoluzione si è rivelata una mega stronzata.

La rivoluzione dei miei stivali

La rivoluzione è un’altra cosa. È rovesciare un sistema creandone un altro, possibilmente migliore. Sarebbe stato rivoluzionario chiudere gli enti inutili. Marcello è stato capace di chiudere enti inutili per crearne di altri ben più inutili. Sarebbe stato rivoluzionario mandare a casa i dirigenti incapaci. Marcello è stato capace di nominarli i dirigenti incapaci, sostituendoli con quelli del suo predecessore meno rivoluzionario, ma molto capace di stronzate anche lui. Rivoluzionario sarebbe stato chiudere ogni rapporto con Tecnoparco, pretendere trasparenza nella gestione dell’affare rifiuti in ogni luogo della Basilicata. Rivoluzionario sarebbe stato prendere dalle palle le compagnie petrolifere e costringerle alla legalità, obbligarle a patti dignitosi col territorio. Rivoluzione è capacità di dare identità allo sviluppo del proprio territorio. Rivoluzione è non avere interessi nelle imprese che gestiscono rifiuti, in quelle che fanno falsa formazione. Impedire l’invasione violenta e distruttiva delle pale eoliche su paesaggi un tempo incantevoli, è rivoluzione. Frenare la fuga di giovani dalla Basilicata, sarebbe stato rivoluzionario. Evitare le porcherie sulle assunzioni all’Arpab e al Parco Nazionale della Val d’Agri, sarebbe stato rivoluzionario. Sarebbe stato rivoluzionario il superamento delle condizioni di povertà di centomila lucani, anziché adottare misure di alleanza con la povertà utili ad accrescere i latifondi del consenso. Tante cose sarebbero state rivoluzionarie, anche le più piccole e banali. Per esempio, avere strade più decenti, sentire di essere parte di un Paese non per la servitù che mostriamo al Governo, ma per la civiltà delle condizioni sociali ed economiche. Per esempio, tenere le finestre aperte senza la paura di respirare porcherie tossiche e mortali. Per esempio, tornare a pescare nel lago del Pertusillo. Per esempio, avere un sistema sanitario affidabile, servizi sociali degni di questo nome. Per esempio, garantire la trasparenza e la legalità negli appalti e nei concorsi.

Eppure molta gente ci ha creduto, grazie alla retorica delle stronzate

Oggi possiamo dire che erano tutte stronzate. Poteva un uomo del sistema, cresciuto “nell’ordine costituito”, rivoluzionare, rovesciandolo, quel sistema? La prima vittima della sua rivoluzione, se quella rivoluzione fosse stata autentica, sarebbe stato lui. Incredibile. Eppure, grazie alla retorica delle stronzate, la gente ci ha creduto. La rivoluzione pittelliana era una politica arrivata di fronte al futuro senza alcuna idea di come attraversarlo. Un bluff. Nella storia politica e sociale della Basilicata non si è mai vista tanta demagogia, mai visto tanto spargimento di incenso, quanto negli anni della “rivoluzione pittelliana”. Le caprette ancora non fanno ciao ma tossiscono. I monti non sorridono, piangono. E i lucani continuano a guardare, senza vedere. Le stronzate pagano, non c’è dubbio.