Gap pensionistico tra uomini e donne, bisogna cominciare a intaccarlo

27 luglio 2017 | 11:41
Share0
Gap pensionistico tra uomini e donne, bisogna cominciare a intaccarlo

“Anche nella previdenza ci sono differenze enormi tra uomini e donne, perché la media delle pensioni delle donne sono quasi la metà di quella degli uomini. Cominciare a intaccare il gap tra uomini e donne è un impegno concreto, è una delle risposte possibili, è un tassello importante”. A sostenerlo è Anna Carritiello, responsabile del Coordinamento Pari Opportunità e Politiche di Genere UIL Basilicata che ha presentato delle proposte per colmare il gap pensionistico delle donne:  – Il lavoro di cura non retribuito va valorizzato attraverso l’applicazione allo stesso di forme di contribuzione figurativa o attraverso crediti pensionistici.  – La contribuzione per le Colf (attività tipicamente femminile) va rivista prevedendo versamenti in linea con l’intera attività lavorativa prestata.  – Occorre eliminare l’importo soglia per l’accesso alla pensione anticipata. Questo per evitare pensionamenti tardivi (oltre i 70 anni) che sono tipicamente il risultato di una carriera discontinua.  – Nell’ambito dell’introduzione della pensione di garanzia, particolare attenzione va riservata alle donne al fine di evitare che la carriera discontinua produca un assegno previdenziale di importo basso e tale da non poter garantire una vecchiaia serena.  – Per quanto riguarda la trasformazione in rendita mensile del montante accumulato dalle lavoratrici nella previdenza complementare, si continuano ad utilizzare coefficienti diversi tra uomini e donne. Questo implicitamente fa sì che le lavoratrici percepiscano a parità di montante e di età di pensionamento rendite più basse rispetto agli uomini. Crediamo si possa valutare l’opportunità di utilizzare per la trasformazione in rendita coefficienti unisex con forme di solidarietà tra uomini e donne.  – L’unificazione del criterio fra donne e uomini vale anche per la previdenza complementare nella quale le donne accedono in misura sostanzialmente più bassa rispetto ai colleghi uomini. Occorre, quindi, stimolare la partecipazione delle lavoratrici ai fondi pensione complementari.  – Occorre neutralizzare l’aumento dell’aspettativa di vita sia per gli uomini che per le donne E’ un gap di genere significativo, una disparità che – aggiunge Carritiello – penalizza sia il presente che il futuro delle donne, che oltre a trovare ostacoli maggiori nella ricerca di una posizione lavorativa solida, vivono le difficoltà di carriere discontinue, basse retribuzioni e pensioni nettamente inferiori rispetto agli uomini. Il differenziale di genere e l’attuale sistema previdenziale espongono le donne a un rischio maggiore di povertà ponendole, viceversa, in una “posizione di credito” nei confronti della Società che non può quindi prescindere dal mettere in atto una serie di interventi e farsi carico di assisterle con adeguate misure di tutela. Le donne sono lavoratrici, mamme, donne di cura, che dedicano la propria vita al lavoro, all’assistenza e alla famiglia. Ruoli che meritano le giuste garanzie sul piano assistenziale e previdenziale, alla stregua di tutti i lavoratori. Meritano inoltre particolare attenzione – aggiunge la dirigente della Uil – le statistiche Istat che dimostrano un netto ridimensionamento delle casalinghe italiane che scendono di 518.000 unità rispetto alla rilevazione di dieci anni fa. Quello che, a prima vista, potrebbe essere considerato un dato incoraggiante, in realtà, secondo l’ Istat, nasconde una situazione ben diversa. Infatti, poco più della metà delle casalinghe censite non ha mai svolto un’attività lavorativa retribuita. La motivazione principale di questa situazione (73% dei casi) è imputabile a motivi di tipo familiare. Inoltre, circa 600.000 casalinghe si definiscono “scoraggiate” e pensano di non avere alcuna possibilità di trovare un lavoro mentre circa 700.000 di esse vivono in condizione di povertà assoluta (il 9,3% del totale). Altro dato rilevante: nel 2014 in Italia secondo le stime dei Conti Nazionali il numero di ore di lavoro retribuito ammontano a circa 42 miliardi, mentre il lavoro non retribuito per attività domestiche, lavori di cura, volontariato, aiuti informali tra famiglie e spostamenti legati allo svolgimento di tali attività a circa 71,5 miliardi di ore. Questa situazione dimostra ancora una volta come il lavoro femminile di cura sia ai margini del mercato e si svolga in condizioni di mancanza totale di retribuzione e, quindi, di coperture previdenziali ed assicurative.