Nel Salento si respira un fermento culturale e sociale che al Sud non ti aspetti

28 giugno 2017 | 10:29
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Nel Salento si respira un fermento culturale e sociale che al Sud non ti aspetti

Al Palazzo Baronale Serafini – Sauli di Tiggiano è tutto pronto per l’inaugurazione, c’è anche il Premio Oscar Helen Mirren che da qualche anno vive lì, in una masseria ristrutturata. Insieme con il marito, il regista Taylor Hackford si dedicheranno a un progetto sul cinema – Spaghetti Western, riconoscenti dell’ospitalità avuta. E’ anche la serata inaugurale dell’Educational Tour 2017 – Paesaggi e smarrimenti nel Salento Minore – nel Capo di Leuca, cinque giorni di incontri e passeggiate nei paesi interni, per scoprire storia e cultura di borghi al di fuori dei circuiti convenzionali del turismo. Dicono che in questa terra il tempo scorra lento e invece va veloce, perché corre con le idee. Non si avverte immobilismo, ma tutto è vivacizzato dall’entusiasmo di chi oltre ad abitarla la ama. “Restare è la forma estrema del viaggiare” ha sottolineato il professore Vito Teti in occasione della presentazione del suo libro “Quel che resta. L’Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni” dopo l’apertura del palazzo. I salentini infatti restano e resistono, orgogliosi della loro terra madre, sono come bambini che si aggrappano voraci al seno materno, per avvertirne il calore, annusarne il profumo, per farsi cullare e sapersi al sicuro. L’accoglienza in Salento è generosa, non percepisci di stare in un territorio che forse vedi per la prima volta, ti sembrano familiari gli uliveti circondati dai muretti a secco, la terra rossa e arida, ti rallegra il paesaggio che si tinge di giallo con i suoi campi di grano. Sei appena arrivato e hai già voglia di restarci. Si respira un fermento culturale e sociale che al Sud non ti aspetti, che attraversa i piccoli borghi altrimenti perduti, come Giuliano di Lecce, una popolazione dimezzata in 10 anni, 400 abitanti di cui 290 ultraottantenni, nessun esercizio commerciale se non un bar e un negozio di generi alimentari all’ingresso del paese. Dovrebbe essere morto eppure è vivo. Si percepisce nelle sue viuzze la vitalità del riscatto, la socialità di un’anziana incontrata per caso che offre le albicocche e i fichi del suo giardino, mentre si commuove ripensando ai sacrifici fatti per rimettere in sesto la sua casa. Ci sono le finestre aperte e qualche portone chiuso, in lontananza si sente il rumore dei piatti e delle posate, qualcuno sta per sedersi a tavola. Qualcun altro sale in macchina per andare chissà dove, una nonnina chiamata “La Vata” compare sull’uscio della sua casa per chiedere al passante “Te ci si fiju?” Tra una pittula e una frisella il tour continua lungo il Capo di Leuca. A Patù, un paese di circa 1700 abitanti, si conservano le tracce dell’antica città messapica di Vereto, di cui cento blocchi di pietra sono serviti per costruire il famoso monumento funebre Centopietre nell’IX sec. Dal 2014 viene organizzata l’infiorata in occasione del Corpus Domini, la processione diventa spettacolo e il paese si riempie di curiosi. Il borgo si rallegra, nei ristoranti servono i pummidori scattarisciati e ciciri e tria, qualche oste racconta aneddoti e storie, chi entra saluta con familiarità. Il viaggiatore è così sazio, di sorrisi e buoni sapori. Si alza felice, pronto per rimettersi in cammino. Tiggiano dista 11 Km, poco più di duemila abitanti, è l’unico paese in Italia in cui il patrono è Sant’Ippazio, considerato il protettore dell’ernia inguinale e della virilità maschile. Al santo è associata la carota Pestanaca, conosciuta in Puglia come la “Carota giallo – viola”, più grande, più tenera e meno fibrosa di quelle comuni. In paese la chiamano tutti “Pestanaca de Santu Pati” per le sue sembianze falliche è diventata il simbolo della festa del santo, a metà gennaio. Tra le località marine di Novaglie e Ciolo, invece, nel comune di Gagliano del Capo, lungo il percorso che porta alle Grotte Cipolliane c’è la pianta euforbia che fiorisce a maggio, nonostante la sua indiscutibile bellezza è oggetto di innumerevoli scongiuri perché, secondo una credenza popolare, agli uomini è proibito toccarla per non rischiare l’impotenza. L’’Italia interna è resistente e forte. Le montagne, le colline, le chiese e le pietre possono contare su associazioni di giovani come Archés, oltre 40 iscritti che programmano eventi, passeggiate, trekking tutto l’anno in borghi che altrimenti sarebbero dimenticati. Per loro restare significa ideare, organizzare al meglio le proprie competenze per fare il bene di tutti, hanno messo in aspettativa la loro vita privata perché non vogliono lasciare nulla di intentato, ma garantire ai figli quel che a loro è mancato. La politica dovrebbe ascoltarli e non ignorarli, gli anziani dovrebbero fargli spazio e non ostacolarli, i territori dovrebbero accoglierli non respingerli. E’ il loro entusiasmo che riduce il disagio delle strade a groviera, è il loro impegno che ti fa dimenticare del trasporto pubblico malservito, è la loro felicità che ti fa venir voglia di vivere in Salento. “Sono i rimasti a dover dare senso alle trasformazioni, a porsi il problema di riguardare i luoghi, di proteggerli, di abitarli, viverli, renderli vivibili. Coloro che sono rimasti riconoscono anche nei ruderi del passato e nelle rovine della contemporaneità e con la loro nostalgia quasi mettono in atto strategie di risarcimento nei confronti dei paesi abbandonati” dal libro “Quel che resta. L’Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni” di Vito Teti. Il sud riparte da qui, dalla fierezza di chi resta con il sorriso sulle labbra.

 Valentina Risi