Disastro Eni: avvisi di garanzia starebbero per spiccare il volo?
Perché dovremmo fidarci di quanto dice Eni rispetto alla quantità di greggio sversato fuori e dentro al Centro Olio di Viggiano?
La compagnia petrolifera ammette che 400 tonnellate di petrolio sono fuoriuscite dal serbatoio D, e non da quello A, dell’impianto di Viggiano, dall’agosto 2016 al novembre dello stesso anno. Poi si impegna al rigore nei monitoraggi, nei controlli e chi più ne ha più ne metta. Ad ascoltare ci sono Regione Basilicata, con l’assessore all’Ambiente e il governatore, Arpab, Unmig e Governo che di comune accordo decidono un’ispezione straordinaria su tutta la filiera di produzione del petrolio estratto in Val d’Agri a cui Eni da’ piena disponibilità. Controlli a tappeto dalla Basilicata alla Puglia, fino a Taranto dunque, nella cui raffineria arriva il greggio lucano. E’ quanto emerso nel tavolo sul Cova tenutosi il 4 maggio scorso al Ministero per l’Ambiente a Roma.
Tutto questo dovrebbe bastare a far stare tranquilli i lucani. E invece così non è per una serie di ragioni che proviamo ad elencare. E’ vero che oggi Eni si ‘auto denuncia’ ma non dobbiamo dimenticare che nelle settimane scorse ha provato, in tutti i modi, a minimizzare l’accaduto pur sapendo che la perdita di petrolio si era verificata dall’agosto 2016. Gli assi, il Cane a sei zampe, ha provato a calarli tutti contando anche sul fatto che gli altri giocatori presenti al tavolo proprio svegli non fossero. Basti pensare alla diffida della Regione del 14 marzo scorso e che il Tar di Basilicata ha bocciato poiché fatta con tale approssimazione da far ridere anche i polli, oltre che la compagnia petrolifera stessa.
A che gioco gioca Eni? Facciamo un salto indietro nel tempo di pochi mesi e vediamo che Eni quando già avrebbe dovuto sapere che c’era stata la perdita di greggio prova addirittura a negare l’evidenza avanzando l’ipotesi che la fuoriuscita di petrolio notata da personale del Consorzio Asi, per la seconda volta nel giro di poche settimane, in un pozzetto adiacente al centro Olio, potesse non provenire dall’impianto di Viggiano. Eppure a novembre 2016, per stessa ammissione della Compagnia petrolifera al tavolo del 4 maggio scorso, il serbatoio D viene messo fuori uso e svuotato. Direte voi, ma se il serbatoio che perdeva è stato bloccato da dove arriva il petrolio rinvenuto tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2017? Sempre Eni dichiara che il serbatoio A non era utilizzato, il serbatoio C era l’unico con doppio fondo, quindi sicuro, e che il B, secondo una perizia effettuata da tecnici esperti incaricati dalla stessa compagnia, era a posto. Può essere plausibile che invece il serbatoio A fosse in esercizio, al contrario di quanto dichiarato da Eni?
Se la perdita di petrolio si è verificata dall’agosto 2016 perché solo oggi Eni lo ammette? C’è stato un tentativo di tenere nascosto l’incidente? Se così fosse “l’auto denuncia” di questi giorni è un tentativo di alleggerire la propria posizione all’udire tintinnio di manette che giunge dal Palazzo di Giustizia? E come interpretare la captatio benevolentiae tentata da Eni, che solo poche settimane fa, per bocca del suo amministratore delegato annunciava cospicui investimenti in Val d’Agri in cambio di consenso dal territorio?
Eni, purtroppo, non è il solo attore di questa tragedia annunciata. C’è infatti un’altra questione che non può essere sottovalutata e riguarda i controlli che Regione e Arpab avrebbero dovuto fare nel corso degli anni a fronte di un’attività, quella estrattiva, così impattante sull’ambiente e sulla salute dei cittadini. Controlli che, anche alla luce di quanto emerso dall’inchiesta che nel marzo 2016 ha portato alla emanazione di diverse misure cautelari a carico di dirigenti e funzionari Eni per traffico illecito di rifiuti petroliferi, avrebbero dovuto essere capillari e asfissianti. Qualcuno dirà che c’entra? C’entra eccome, perché Arpab e Regione se avessero letto con attenzione le carte della Procura, avrebbero dovuto aumentare in modo esponenziale l’attenzione sul Centro Oli di Viggiano e non continuare a fidarsi di Eni. E invece sembra che così non è stato perché basta andare a spulciare sul sito dell’Agenzia per l’Ambiente della Basilicata, alla voce “Centro Oli Monitoraggio Ambientale” per rendersi conto che qualche ‘disattenzione’ c’è stata.
Quei serbatoi degradati. Poiché fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio c’è un altro aspetto della vicenda Cova che solletica la nostra voglia di capire e riguarda tre dei quattro serbatoi di stoccaggio del petrolio che, risultavano degradati già anni addietro. In particolare il serbatoio D “degradato per il 70% della superficie già dal 2008”, come si legge nella diffida che la Regione Basilicata ha fatto a Eni il 14 febbraio scorso. Lo stesso serbatoio da cui, per ammissione dell’Eni si è verificata la perdita delle 400 tonnellate di greggio. Regione e Arpab alla luce di ciò cosa hanno fatto in questi anni? Possibile che queste anomalie riscontrate già negli anni passati non abbiano disturbato il sonno di chi aveva l’obbligo di vigilare sull’operato dell’Eni in Val d’Agri?
Oggi il risveglio è amaro e il sonno di certo disturbato. Così come i lucani non possono dormire tranquilli non sapendo ancora quanto estesa sia la contaminazione provocata dalla fuoriuscita di greggio, allo stesso modo non dormiranno sonni tranquilli coloro i quali avrebbero dovuto vigilare e non lo hanno fatto. Sul danno ambientale in corso magari ci illuminerà il governatore lucano che lunedì 8 maggio, sulla questione, ha convocato l’ennesima conferenza stampa “nell’ottica della massima trasparenza e per continuare il dialogo intrapreso con i giornalisti“. Per il resto qualche chiarimento in più arriverà dai magistrati. Un uccellino in ambienti giudiziari riferisce che qualche avviso di garanzia starebbe per spiccare il volo. Coperture del Governo permettendo.