No Tap. Parlano i sindaci di Melendugno e Martano

2 aprile 2017 | 19:10
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No Tap. Parlano i sindaci di Melendugno e Martano

Una lunga, ma importante intervista al sindaco di Melendugno Marco Potì, ingegnere, per avere qualche informazione tecnica sulle vere motivazioni che spingono da giorni migliaia di persone (giovani, anziani e anche bambini) a fronteggiare pacificamente, in aperta campagna, l’avvio dei lavori del cantiere del gasdotto Trans-Adriatic Pipeline (TAP).

È importante evitare che le ragioni della protesta popolare siano confuse sotto il profilo mediatico: non si tratta, infatti di una protesta per le sole eradicazioni degli ulivi, ma di manifestazioni più ampie di dissenso, che si protraggono da anni e coinvolgono le popolazioni di molti comuni salentini. Nel corpo di questa intervista anche due domande al sindaco Fabio Tarantino, di Martano, un comune della Grecìa salentina. Sono più di sessanta i sindaci che stanno sostenendo la battaglia di Melendugno, e hanno sottoscritto un accorato appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al premier e a tutte le autorità competenti, affinché sospendano i lavori convocando con urgenza un incontro tecnico-politico, propedeutico all’individuazione di soluzioni più condivise e avanzate.

Sindaco Potì, al di là della questione ulivi, perché ritiene che TAP sia un’opera inutile e pericolosa?

Gli ulivi, come spesso ribadisco, sono solo la punta di questo immenso iceberg, che è il gasdotto nel suo complesso. La nostra opposizione, in questo momento, è anche all’eradicazione degli ulivi, ma non solo. Anzitutto, si tratta soltanto dei primi 211 ulivi sui 2000 nel tratto di Melendugno, più ulteriori 8600 nel lungo tratto tra Melendugno e Mesagne, 55 km più a nord, per connettere questo gasdotto alla rete SNAM del gas nazionale. L’ulivo è un simbolo a cui i cittadini sono molto legati e questo spiega la grande partecipazione di questo momento: cittadini delle scuole, dei mercati, dei negozi, non certo pericolosi estremisti. Noi portiamo avanti l’opposizione a questo gasdotto da cinque anni, sulle carte, sui dati, studiando benefici e svantaggi. Questi ultimi sono enormemente maggiori dei vantaggi. In primis, dal punto di vista dell’utilità. Non si vede il bisogno di realizzare quest’opera nel momento in cui si procede a passi veloci verso un nuovo panorama nell’utilizzo e l’approvvigionamento dell’energia. Queste infrastrutture hanno una durata tra i 25 e i 50 anni, sono state pensate già una quindicina di anni fa e rischiano di nascere vecchie, basate su idee, dati e tecnologie ormai obsoleti. Così come i consumi e i modelli energetici che erano alla base. Con questa impostazione di base noi diciamo no al gasdotto, né a San Foca, né altrove. Il progetto, poi, ci lega mani e piedi con uno Stato, l’Azerbaijan, il quale, in base a studi della Oxford University, non avrebbe gas a sufficienza per garantire l’approvvigionamento del gasdotto, ossia 10 miliardi di metri cubi l’anno (espandibili a 20). Pare che gli Azeri abbiano messo a punto accordi commerciali con la Russia per integrare il carente approvvigionamento. Il gasdotto attraversa paesi privi di stabilità politica e con democrazie dotate di diverse criticità. Attraversa la Turchia, di cui conosciamo le vicende degli anni recenti. Approdiamo infine in Salento, precisamente a San Foca, marina di Melendugno, che ha una vocazione e prospettive tutt’altro che compatibili con una simile infrastruttura energetica e industriale. Gli impatti sono molteplici sul tratto di costa. Ad esempio, sul turismo: perché far passare in una zona di pregio come San Basilio, frequentatissima da turisti, 1 milione di metri cubi di gas ad alta pressione, con la pur remota possibilità che possa verificarsi un incidente? Ciò comporterebbe perdere la spiaggia per sempre o, quantomeno, la tranquillità di frequentarla senza preoccupazioni di sorta. Viene danneggiata l’immagine di San Foca, e del Salento, che è altro rispetto a questo genere di intervento infrastrutturale. Procediamo poi con la condotta, di 8 km, che fa saltare muretti a secco secolari, gli ulivi e cambia la destinazione naturale di questi terreni. Nell’entroterra, poi, sarà realizzata una centrale di 12 ettari nella periferia agricola di Melendugno, tra quattro comuni in cui abitano più di 30000 persone. Alcune abitazioni sono a meno di 500 metri dalla centrale. Andando a leggere le carte, quella che viene definita una semplice centrale di misurazione è, in realtà, altro. Le carte le hanno lette i nostri tecnici: lì dentro si manipolerà, si scalderà e si brucerà gas, emettendo sostanze nocive. Non solo CO2, ma decine di sostanze inquinanti e, secondo i rapporti di Tap stessa, il rischio per quelle abitazioni più prossime è medio-alto. Noi lottiamo anche per quelle famiglie. Lottiamo perché non ci sia uno spillo in più di inquinamento su questa terra già martoriata. I dati di neoplasie e di morti per tumore, assolutamente fuori scala rispetto alla media nazionale, lo dimostrano. C’è un rischio di danno sanitario elevatissimo proprio in questa zona. Impatti sull’ambiente, sul paesaggio, sull’economia, prevalentemente turistica, impatti sociali, perdite di posti di lavoro, perdita di valore dei terreni, perdita in termini di immagine, danni alle attività primarie, rischi per la sicurezza. Basta fare una ricerca su Google per verificare che ogni settimana si verificano problemi seri nei gasdotti. Il sito potrebbe infine diventare sensibile perfino quale obiettivo di attacchi terroristici.

È vero che Tap rappresenta una grande opportunità, per il nostro paese, in termini di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico? Inoltre, si sente dire che l’Italia stia impedendo, a causa delle vostre proteste, di realizzare l’ultimo miglio dell’opera strategica: è così?

Per quanto attiene alla strategicità, pare che questo gas non sia aggiuntivo, ma sostitutivo rispetto all’approvvigionamento. Il gas che oggi l’Italia utilizza viene da diverse fonti: dall’Africa, dall’Europa (Olanda e Norvegia) dalla Russia attraverso l’Ucraina e i rigassificatori (già quattro già ultimati nel nostro paese) inutilizzati perché non c’è domanda. Altra problematica sottovalutata da qualcuno: Eni avrebbe rinnovato i contratti Take or Pay con la Russia di Gazprom per i prossimi 35 anni, coprendo il tempo di vita del gasdotto. È un contratto “vuoto per pieno”: paghiamo per il gas al prezzo concordato anche in caso di mancato ritiro. Sulla base di queste considerazioni non si intende la necessità di una ulteriore fonte, coi dubbi sugli approvvigionamenti già esposti. La necessità di gas ulteriore, rispetto a consumi in crollo, è immotivata. Uno studio dell’Associazione Economisti dell’Energia ricorda che per la sola firma degli impegni degli accordi della Conferenza di Parigi, i consumi di gas nei prossimi decenni dovrà diminuire in misura significativa. A ciò si aggiungono gli interventi sempre più spinti per l’efficientamento energetico degli edifici, che ne ridurrà ulteriormente i consumi. Andiamo verso una domanda di energia da fonti fossili in totale crollo rispetto al momento storico in cui l’infrastruttura è stata pensata. Ecco perché si può e si deve contestare il gasdotto alla base. Per quanto riguarda l’idea che il gasdotto sia già all’ultimo miglio, non è affatto vero. A me risulta che il South Caspian Pipeline (Scp), tra Azerbaijan e Georgia sia ancora un’idea: un oleodotto dovrebbe essere affiancato da un gasdotto, tra proteste e contrasti. C’è poi il Trans-Anatolian Pipeline (Tanap), che attraverserebbe tutta la Turchia. Anche quello non è in stato avanzato, ma ipotetico. In Grecia, come hanno potuto verificare gli attivisti No-Tap, la situazione è tutt’altro che definitiva: ci sono contadini che protestano, aree sequestrate e tubi appoggiati sui siti, di fianco ad aree di cantiere, ma la costruzione non vede la luce. Ciò restituisce un’idea di quanto la problematica sia di livello internazionale e di quale sia la reale situazione. Il Ministro delle Attività Produttive, quando è andato in Azerbaijan, l’ultima volta, ha visto tanti puntini verdi nei singoli paesi e un puntino rosso in Italia. Voglio far presente che l’Italia, rispetto ad altri paesi, forse, ha una struttura democratica più forte e avanzata. Opere di questo genere devono essere realizzate con un’ampia condivisione di intenti sul territorio.

Quali sono le prossime iniziative che intraprenderete, insieme ai tecnici che con lei collaborano, per fronteggiare questa situazione?

Non posso prevedere fino a quando la manifestazione civile e democratica dei miei concittadini (e non solo) andrà avanti, contro questa opera non utile e non urgente. La fase della realizzazione non è tuttora attuabile in quanto, secondo una delle prescrizioni del decreto Via del 2014, deve ancora produrre un progetto esecutivo del cosiddetto microtunnel (in realtà, un maxitunnel di 3m di diametro in cemento armato con pareti spesse 30 cm per 1,5-1,6 km) che passa sotto la campagna, la pineta, le dune e il mare di San Foca. Tale progetto non è ancora stato presentato. Il Decreto sostiene che esso sia in verifica di assoggettabilità a Via. Quindi noi, insieme alla Regione Puglia e al governatore Emiliano, abbiamo deciso, come sindaci del Salento e come Regione, di costituire un tavolo tecnico per contrastare, nella procedura e quindi nei termini, questa verifica di assoggettabilità. Chiaramente, chiederemo la riapertura della VIA per tutto il progetto, perché ci sono delle novità rilevate da TAP stessa che, nel realizzare il progetto esecutivo, ha fatto indagini nel sottosuolo non esperite in precedenza, prima dell’autorizzazione, trovando una struttura geologica di sabbia e acqua e non di roccia, per 45 m di profondità. E a mare, dove ritenevano non ci fossero habitat marini protetti, cosa per la quale San Foca prevalse rispetto ad altri approdi, adesso la stessa Tap ha individuato habitat soggetti a tutela. Per cui viene messo in discussione il progetto del tunnel: dal punto di vista ingegneristico è assolutamente critico poggiare su sabbia e acqua un’infrastruttura contenente gas ad alta pressione. La mancanza di habitat marini protetti che a suo tempo causò la preferenza accordata all’approdo melendugnese è ora venuta meno in quanto è anche qui presente. Forse quelle famose tabelle comparative non sono più attuali.

Abbiamo rivolto anche alcune domande al Sindaco di Martano, Fabio Tarantino, il quale ci spiega le ragioni di un sostegno e di una fratellanza nella battaglia “No-Tap”. Questo ulteriore intervento rende chiara l’ampiezza del fronte dei sindaci salentini nella ferma opposizione al gasdotto.

Come nasce il sostegno della comunità del suo comune, Martano, alla battaglia No Tap?

Le nostre amministrazioni hanno manifestato da sempre la contrarietà alla paventata opera, definita “strategica” dal Governo. La preoccupazione è immediatamente salita e la comunità martanese ha immediatamente abbracciato Melendugno e il suo sindaco Marco Potì, sin dall’inizio. Una battaglia a suon di 10000 e più documenti, studiati da volontari che costituiscono il “nocciolo duro del comitato No Tap”, da noi sostenuti e accompagnati, per spingere la Regione e il Governo a non scegliere San Foca di Melendugno come approdo dall’Albania. Noi siamo convinti che il gasdotto non serva all’Italia in generale, né, tantomeno, alla comunità di locale. Ciò perché ci siamo imposti la tutela del paesaggio e delle bellezze naturalistiche che vi insistono; le quali costituiscono, peraltro, l’unica fonte vera dell’economia del nostro territorio. In tutto questo processo è mancata la partecipazione della gente: la democraticità delle scelte è fondamentale per portare avanti qualsiasi iniziativa su opere strategiche e non solo, laddove si debba procedere a un intervento radicale sul territorio.

Quali saranno le vostre prossime iniziative?

Ieri abbiamo registrato un’ampia opposizione popolare in vero senso: bambini, giovani e anziani, si sono schierati sulla provinciale Melendugno-Calimera all’altezza della masseria Capitano, sede della nursery che dovrebbe accogliere gli ulivi espiantati, e hanno dato luogo a una opposizione pacifica, di stampo gandhiano, alla barbarie in atto. Per noi, poi, toccare un ulivo è come toccare un membro della famiglia. Siamo in un momento storico di sofferenza su questo territorio, per via delle note problematiche di disseccamento degli ulivi. Pertanto, vedere anche gli alberi secolari di San Foca espiantati è stato un vero colpo al cuore. Ma non si tratta di questo soltanto, ovviamente: la battaglia inerisce soprattutto il gasdotto e si apre con la nuova assoggettabilità a VIA del progetto, che partirà tra sei giorni (8 aprile) e vedrà nei prossimi sei mesi uno scontro di osservazioni e contro-osservazioni tra le comunità locali, la Regione Puglia e la società TAP, oltre al ministero dell’Ambiente.