Il Femicidio e l’occultazione mediatica

6 marzo 2017 | 13:36
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Il Femicidio e l’occultazione mediatica

La violenza sulle donne non si combatte con i convegni o con le manifestazioni folcloristiche. A nulla servono gli slogan e l’indignazione nei talk show.

Il fenomeno è talmente complesso che se lo semplifichi sei complice. Tra i semplificatori di professione troviamo i giornalisti. Una certa stampa non fa altro che trattare i casi di violenza in funzione della vendita di copie o dei click sulla testata online. I media, consapevolmente o inconsapevolmente, spesso adottano strategie linguistiche che permettono l’occultazione delle violenze o, in altri casi, la banalizzazione. Non raramente negli articoli spariscono gli autori delle violenze. Più spesso è minimizzata se non banalizzata la gravità della violenza. E’ sufficiente utilizzare i verbi in forma passiva e ricorrere a una terminologia neutra rispetto al genere. Si parla così di “donne picchiate”, “colpite da un pugno”: l’autore scompare. I media trattando i casi di femicidio parlano più del killer che della vittima. Dell’assassino si sa che era “pazzo d’amore”, che era geloso, che non sopportava la separazione, che era solo, disperato. Della vittima invece ci viene detto poco o niente se non che lo aveva rifiutato ripetutamente. In questo modo passa il messaggio di compassione nei confronti di un uomo debole che non poteva fare altrimenti e che è stato costretto a reagire con la violenza.  Così siamo orientati ad entrare nei panni dell’assassino e della sua sofferenza e non in quelli della vittima. Accade di peggio. Tanto per non farla lunga riprendo un esempio, molto calzante, proposto e analizzato da Patrizia Romito, autrice del libro “Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori” . L’articolo apparso sul Corriere del Mezzogiorno.it, si riferisce ad un caso di femicidio avvenuto nel 2012 in Campania. Interessante analizzarlo per comprendere come i media possono, magari senza volerlo, favorire anziché contrastare la violenza sulle donne.  “Moglie di 26 anni uccisa dal marito geloso a colpi di forbice. Ha conficcato le forbici nel fianco della donna al culmine di una lite. L’uomo sospettava che lo tradisse. Titolo e sottotitolo già presentano gli elementi fondamentali del discorso: il tipo di legame tra vittima e assassino, il movente generico e quello più specifico. Se il titolo presenta l’ elemento della gelosia, il sottotitolo tende quasi a voler fornire una spiegazione più valida della semplice gelosia, un fatto più concreto ovvero il sospetto del tradimento. Ad accompagnare l’articolo una fotografia sottratta al profilo Facebook della giovane, in cui si vede la ragazza in bikini in spiaggia. All’interno dell’ articolo possiamo poi ritrovare un ulteriore dettaglio che potremmo definire un tentativo di umanizzazione del carnefice: (…) è stata uccisa per un presunto tradimento da suo marito, Giancarlo Giannini. L’ omicida aveva perso da pochi giorni sua madre. Accecato dall’idea che la consorte potesse averlo tradito ha aggredito violentemente la donna (…) Alla giustificazione del presunto tradimento si aggiunge una nuova informazione ovvero la morte recentissima della madre del killer.” A parte i giornali, che dire dell’oggettivizzazione delle donne nelle campagne pubblicitarie e nei talk show? Donne da mangiare, donne da possedere, donne disumanizzate, sessualizzate da utilizzare come oggetto o come cibo. Fateci caso, osservate bene alcuni spot televisivi e sulla stampa, guardate con occhi critici certi talk. A voi i commenti.