Non è vero che in Italia non si sono fatte le riforme

7 dicembre 2016 | 15:30
Share0
Non è vero che in Italia non si sono fatte le riforme

Si è chiusa la straziante parentesi del referendum sulle riforme costituzionali. L’Italia ha rigettato il tentativo di riforma del governo Renzi. Eppure in coro gli statisti europei ed oltre-atlantico, la Comunità Europea, confindustria, banche, conf-commercio e chi più ne ha più ne metta, spingevano ferocemente per questa riforma ritenuta salvifica e miracolistica per l’Italia. Anche quel pessimo giornalista tedesco Tobias Piller invitato con tutti gli onori in tutte i Talk Show da qualche anno a questa parte, per sputare sentenze contro l’Italia e per farci sapere come è brava la Germania gli concedono e si prende la briga di rimbrottarci volgarmente perché non riusciamo a fare le riforme. Ma è poi proprio vero che l’Italia sta arretrando perché rispetto agli altri paesi europei non sono state fatte le riforme negli ultimi 20 anni? Andiamo subito a verificare. Cominciamo con le riforme del sistema pensionistico. Si è passati dal retributivo con il contributivo e la promozione dei sistemi pensionistici integrativi con la riforma Dini del 1995. Poi hanno fatto seguito le feroci riforme pensionistiche di Sacconi e della Fornero ambedue varate nel 2011 che hanno portato a 66 anni e 7 mesi l’eta pensionabile. In Germania comunico all’ineffabile Tobias che si va in pensione a soli 63-64 anni! Passiamo ora alla riforma del lavoro. Cominciamo con la riforma Treu del 1997 che introduce la flessibilità delle forme giuridiche del lavoro. Poi fece seguito la riforma Biagi del 2003 che produsse una fauna davvero varia e variopinta delle diverse tipologie di contratto di lavoro (ben 46 !). Poi è arrivata la riforma Fornero (arieccola!) del 2012 ed infine il Jobs act (2014) approvata da Renzi. A Tobias se studi bene e confronti le riforme del lavoro italiane e tedesche non è che poi alla fine ci siano tante differenze! Vogliamo poi passare alle riforme sulla scuola ? un frenetico e vorticoso iper-attivismo! Berlinguer nel 2000, la Moratti nel 2003, Fioroni nel 2006, La Gelmini nel 2008 e, dulcis in fundo, è arrivata la riforma Giannini del 2014. E che dire delle Università e degli enti di ricerca nazionali riformati a ripetizione a partire dal 1999 (anche qui Berlinguer, Moratti nel 2003 , Fioroni nel 2006). Dato ameno alla fine di questo furore riformista: nel 2003 la prima università nel ranking mondiale era La Sapienza di Roma al 70° posto; dopo 13 anni di matte e disperatissime riforme, La Sapienza, sempre al I° posto fra quelle italiane, è sprofondata nel ranking mondiale, perdendo più di cento posizioni! Per non parlare delle riforme costituzionali. Ne abbiamo fatta una nel 2001 che ha riformato il Titolo V sotto la spinta della epopea federalista. Quella fu sottoposta a referendum confermativo che riuscì a superare. Poi ci fu la proposta del 2006 che sostanzialmente voleva introdurre a viso aperto il presidenzialismo ma rafforzando maggiormente le autonomie locali che invece fu bocciata. Infine quella del 4 Dicembre. Ma prima di questi referendum ci furono diversi tentativi nel passato di proporre riforme costituzionali con lo strumento della bicamerale: la commissione Bozzi (1983-85, La De Mita /Iotti del 1987, D’Alema nel 1997. Questo a dimostrazione di come non solo non è vero che l’Italia è refrattaria alle riforme, come pomposi, solenni e saccenti sacerdoti dell’Unione Europea invitano a fare (sono davvero fuori dal mondo e non hanno capito cosa sta realmente accadendo!), ma che esse hanno frullato vorticose e frenetiche negli ultimi 20 anni. Non hanno affatto migliorato la situazione socio-economica dell’Italia se non, in alcuni casi, addirittura peggiorandola. Questo vorrà pur dire qualcosa ! O non siamo capaci di farle, oppure il male dell’Italia va cercato altrove! Se non sappiamo farle allora cerchiamo di non scassare oltremodo quelle buone che i nostri padri fondatori hanno invece saputo scrivere! Affidarci al loro buon senso ed alla loro saggezza rimane ancora una stella polare salvifica per il nostro paese! La cosa vera è che le riforme, anche buone non sono la bacchetta magica che fa andare bene il nostro paese. Per spiegare ciò può aiutarci l’art. 2 della Costituzione: https://www.comune.bologna.it/iperbole/coscost/Costituzione/commenti_articoli/art_2.pdf. Ci dice che il cuore della nostra repubblica è la tutela della persona e dei luoghi e dei tempi in cui essa si forma. Ma dice ancora una cosa più importante: da essa si esige l’esercizio della solidarietà. Essa non può venire dalle istituzioni, ma è responsabilità propria del cittadino/persona. Il motore di una Nazione nelle costituzioni moderne (lo è anche nella costituzione tedesca…anzi è il primo articolo!) è la persona e la capacita di essa di tessere relazioni, sinapsi, reti di solidarietà. Questa prerogativa affidata alla risorsa sociale in Italia è stata tristemente imbrigliata ed è scaduta in una organizzazione della nostra società in chiave corporativistica! La persona si fa rappresentare dalla corporazione di appartenenza esaurendo il suo anelito solidaristico nel perseguire il solo bene di essa. Così abbiamo corporazioni povere e corporazioni ricche. Quelle dei medici, dei giudici, dei politici, degli avvocati degli ingegneri,dei notai, dei professori universitari, degli imprenditori; come quelle povere dei professori di scuola, dei tassisti, dei pensionati,degli agricoltori, dei commercianti ecc., alla costituzione delle quali ha contribuito in gran misura lo stesso movimento sindacale. Per capire come questo corporativismo feudale abbia frenato il vero riformismo (non quello di Renzi che ha cercato di far passare la riforma JP Morgan-like nel solito vecchissimo modo di strizzare l’occhio e promettere mance alle corporazioni!) basta vedere come la corporazione dei medici (la più potente di tutte!) reagì alla riforma Bindi della sanità del 1999 che aveva reso incompatibile per essi lavorare contemporaneamente per la sanità pubblica e privata. Immediatamente rimossa e sostituita dalla buon’anima del barone U. Veronesi per restaurare brutalmente il vecchio Statu Quo! A ben vedere la struttura corporativa della nostra società ha reso irriducibile lo scollamento fra la competenza e la rappresentanza, fra il merito e le responsabilità nella società e nelle istituzioni. Vince sempre la fedeltà, l’appartenenza alla corporazione sul talento e le competenze della persona! E’ questa la grande, gigantesca differenza fra il nostro paese e la Germania o, ancor peggio, gli Stati Uniti! Questo sistema finisce così per essere un tritacarne spietato per i nostri giovani condannati o a cercarsi un’appartenenza, oppure, per i più orgogliosi e auto-determinati, ad abbandonare il nostro paese! Io non smetterò mai di combattere per costruire questa nuova Italia…e voi? 

Francesco Vespe