“Lo Stato, complice dell’Ilva, ci sta massacrando”

20 dicembre 2016 | 19:35
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“Lo Stato, complice dell’Ilva, ci sta massacrando”

Oltre 2500 pecore abbattute dal 2008 ad oggi perché contaminate dalla diossina nella zona del ‘siderurgico’. Una strage silenziosa che ha piegato il settore degli allevamenti, segno tangibile di una mattanza che oltre agli uomini, non ha risparmiato neanche natura, animali e agricoltura.

Qui Taranto. Quartiere Paolo VI. Siamo a poche centinaia di metri dall’Ilva. Vincenzo Fornaro e la sua famiglia hanno una masseria e fanno gli allevatori da 3 generazioni. O meglio, facevano gli allevatori. Visto che la presenza di diossina nelle loro 600 pecore ne ha decretato l’abbattimento nel 2008. Da allora in tutto sono 2570 i capi di bestiame abbattuti nel raggio di 20 chilometri.

Addio allevamenti. Nel 2008 Vincenzo ha dovuto dire addio alla propria storia. Ai capi di bestiame su cui l’azienda sanitaria trovò quella maledetta diossina. Da allora ne è stata vietata la vendita. Chiaro il coinvolgimento ‘dannoso’ da parte dell’Ilva. Siamo nel pieno del processo giudiziario ‘ambiente svenduto’ e questa pagina di storia è ancora tutta da definire. Ma ciò che non è ancora stato scritto in modo definitivo nelle stanze del tribunale di Taranto, si legge chiaro nelle parole e negli occhi di Vincenzo. “Oggi gli unici animali che ancora abbiamo – spiega – li utilizziamo ad uso didattico”. Bambini e appassionati fanno i percorsi con i cavalli. Fin dentro la gravine e le antiche chiese rupestri sottostanti. “Vogliamo rispondere con la natura e la bellezza alla violenza subita da questo ecomostro”, aggiunge con una vena di speranza.

“La contaminazione continua”. Ciò che fa ancora più male è il proseguimento delle attività ‘inquinanti’ anche dopo che l’inchiesta, nel 2008, è deflagrata con tutto il suo clamore mediatico. L’area a caldo, la più impattante, è sotto sequestro ma continua a produrre e inquinare. “Lo Stato ha commissariato l’azienda e si sta rendendo complice della nostra distruzione – afferma Vincenzo – tra un po’ consegneranno l’Ilva a qualche altro bandito che finirà di distruggerci”. A rione Tamburi e Paolo VI, i più vicini all’impianto, si muore di tumore e ci si ammala ai polmoni come in nessun altro posto d’Italia. “E chi ci ha inquinati – prosegue – a gennaio prossimo patteggerà in udienza e uscirà quasi indenne dal processo”.

La speranza. Nonostante si sia ammalato anche lui di tumore qualche anno fa, Vincenzo non si è arreso alla lamentazione. Ha superato la malattia. E’ andato avanti. Ha riconvertito tanti ettari di terreno in coltivazione di canapa. “Credo ci sia la possibilità di creare una filiera di canapa tarantina che può portare numerosi posti di lavoro”. Lui da alcuni anni ci sta provando. Nonostante tutto non si è pianto addosso. “L’importante è che chiuda questa fabbrica di morte e che Taranto riparta”.

Il fumo negli occhi. Abbiamo davanti una città con una gloriosa storia lunga migliaia di anni. Che vuole tornare a vivere. E a respirare. Salutiamo Vincenzo e lasciando la sua masseria, davanti ci ritroviamo i camini dell’Ilva che sputano diossina e veleni. Uno schiaffo alla vita. E ai tarantini. E nel frattempo il Governo cosa fa? Gioca con le cifre, con la la legge di Bilancio e con la dignità di questo popolo sempre più martoriato.