Aste e usura: ispezione nei tribunali di Taranto e Potenza

1 ottobre 2016 | 17:58
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Aste e usura: ispezione nei tribunali di Taranto e Potenza

Con un’interrogazione al Ministro della Giustizia i senatori del M5S Buccarella, Airola, Taverna, Donno, Bertorotta, Puglia, Cappelletti, Serra, Giarrusso, Paglini, Santangelo e Bottici chiedono un’ispezione nei tribunali di Taranto e Potenza portando

 all’attenzione del Guardasigilli alcuni casi di aste immobiliari nella città ionica. 

“Avvoltoi e criminalità”. Sono pesanti le parole usate dagli esponenti pentastellati nell’interrogazione e prendono le mosse da una serie di segnalazioni arrivate proprio da chi, con le esecuzioni immobiliari, sta combattendo da anni. I parlamentari nella loro interrogazione scrivono: “risulta, che presso il tribunale di Taranto, al quarto piano dedicato alle aste immobiliari, si sarebbero imposte prassi non del tutto conformi alla legge (come quella di vendere i beni pignorati anche al “prezzo vile”, favorendo gli “avvoltoi” di turno e, verosimilmente, la stessa criminalità) a cui si aggiunge la tendenza a prestare maggiore attenzione alla prosecuzione delle esecuzioni immobiliari, piuttosto che alla tutela ed alle garanzie dei soggetti esecutati o falliti; sempre presso il tribunale di Taranto, sarebbero diversi i cittadini ad aver lamentato abusi e violazioni di legge da parte dei magistrati chiamati a decidere le loro controversie, con grave nocumento dei loro diritti”. Al contrario di tanti altri che di fronte ad una casa o un’azienda andata all’asta hanno deciso di farla finita, qui c’è un gruppo di cittadini che ha deciso di far valere i propri diritti contro “abusi e irregolarità“. 

Vendite a “prezzo vile”. E così nell’interrogazione dei pentastellati si riporta il caso della signora Maria Giovanna Benedetta Montemurro, che presso il tribunale di Taranto, ha fatto opposizione a un’esecuzione immobiliare nei suoi confronti. Nel ricorso, tra i tanti motivi di opposizione, invocando il “decreto Banche” (n. 59 del 2016, convertito dalla legge n. 119 del 2016), la signora Montemurro ha anche dedotto che il giudice non poteva procedere all’aggiudicazione considerato che il prezzo di vendita era inferiore al limite della metà e che erano stati esperiti tentativi di vendita oltre il numero consentito dal decreto-legge 59 che ha posto le basi per tutelare le parti, creditrice e debitrice, soprattutto al fine di evitare che la vendita avvenga oltre determinati limiti e per un tempo indefinito; la vendita al “prezzo vile”- lamentata dalla Montemurro- ovvero al prezzo lontano da quello di mercato, danneggia sia il debitore che lo stesso ceppo creditorio (con il rischio concreto di vendere le case e non soddisfare nemmeno le ragioni dei creditori) e pare anche certo che, indipendentemente dalle modalità di vendita (con incanto o senza), dal sistema delle norme che presidiano le esecuzioni immobiliari può ricavarsi che la vendita non possa avvenire ad un prezzo inferiore al limite della metà del valore del bene espropriando, così come stabilito dal tribunale ai sensi dell’art. 568 del codice di procedura civile.

Ricorsi respinti in poche ore. Tuttavia il giudice dell’esecuzione ha rigettato il ricorso della donna, peraltro in circostanze di tempo così rapide da destare, a parere degli interroganti, non poca inquietudine. Il ricorso infatti è stato presentato alle ore 12.30 del 24 maggio 2016; il magistrato ha ricevuto il fascicolo il 25 maggio e lo stesso giorno ha rigettato la tutela cautelare chiesta dalla Montemurro. Solo il giorno successivo, ovvero il 26 maggio, ha provveduto all’aggiudicazione, a giudizio degli interroganti, in maniera se non illegittima quanto meno in modo poco prudente, in considerazione del fatto che si trattava di espropriare un immobile adibito ad abitazione. La donna, ritenendo di non avere ricevuto alcuna tutela in sede civile, il 24 giugno 2016, ha ha denunciato non solo il giudice dell’esecuzione, ma anche il “sistema” aste presso l’organo di giustizia. Nel suo esposto, tra l’altro, ha lamentato che presso il tribunale jonico vi sarebbe l’orientamento di vendere all’asta, con poca o nessuna tutela per le parti; vi è poca turnazione dei magistrati, che gestiscono le aste ed anche degli ausiliari di questi ultimi; vi sarebbe prassi di vendere anche al limite di 20.000 euro, indipendentemente da quello che è il valore del bene espropriando, con la conseguenza che, a suo dire, alla fine, risulterebbero “pagati” solo i costi delle procedure“. 

“Irregolarità e vizi invisibili alla magistratura”. Il caso Montemurro non è l’unico riportato nell’interrogazione dei Cinque Stelle. Anche il signor Vitantonio Bello ha lamentato una tenace chiusura della magistratura jonica rispetto all’asta immobiliare in suo danno non ottenendo tutela nonostante le molteplici procedure incardinate e nonostante, in qualche provvedimento giurisdizionale, il magistrato estensore abbia riconosciuto la fondatezza delle ‘irregolarità’ da lui sollevate. Nel caso Bello l’asta immobiliare ha ad oggetto la casa ove vive con moglie e due figli minori, a tal punto il signor Bello avrebbe anche interessato della sua vicenda la Presidenza della Repubblica e quest’ultima, di rimando, la Prefettura di Taranto. Sempre nella vicenda del signor Bello, la magistratura di Taranto, non accordandogli tutela e non sospendendo l’esecuzione, in un provvedimento giurisdizionale, ha sostanzialmente anche asserito che non vi sarebbe alcun vizio nel rapporto tra il medesimo e la banca, se pure l’istituto di credito, concedendogli più prestiti a distanza di poco tempo, era a conoscenza che lo stesso cliente non sarebbe stato in condizione di restituire il denaro (e ciò in considerazione di quella che era la sua valutata capacità di rimborso). A parere degli interroganti, nella stessa statuizione, vi sarebbe anche un’abnorme legittimazione della concessione abusiva di credito“.

Il caso finito al tribunale di Potenza. Altra vicenda molto sintomatica della pervicace chiusura dei giudici di Taranto rispetto alla tutela da accordare agli esecutati e falliti-scrivono i parlamentari interroganti- è quella di Maria Spera. Addirittura la signora Spera ha lamentato un’illegittima duplicazione di titoli esecutivi, con cui l’intero suo patrimonio risulta ancora bloccato. Il caso Spera- a giudizio degli interroganti- è tanto più inquietante se si pensa che il debito originario contratto dalla signora nel 1990 era a pari a 500 milioni di lire (corrispondenti a circa 258.000 euro) e la signora, alla data del 2007, ne aveva già restituiti 400.000 euro (corrispondenti a circa 800 milioni di lire); ad oggi la signora Spera, nonostante il pignoramento del terreno, sottostimato dal tribunale di Taranto in poco più di 400.000 euro (somma che sarebbe più che capiente rispetto all’eventuale debito residuo, ove ne residuasse, visto che circa 400.000 euro sono stati già resi dalla signora alla Banca nazionale del lavoro), ha l’intero suo patrimonio ipotecato, in virtù dell’altro titolo esecutivo (il decreto ingiuntivo), emesso per lo stesso ed unico debito (che così è consacrato in 2 distinti titoli esecutivi). Pertanto, se la signora volesse vendere qualcosa per pagare eventuali residui debiti, non potrebbe farlo (e nemmeno è in condizione di onorare le esose tasse sulla proprietà, se non con gli aiuti dei figli). La signora Spera ha riferito agli interroganti che, decorsi 10 anni dall’iscrizione dell’ipoteca sul suo patrimonio, in virtù del decreto ingiuntivo, nell’assenza di atti esecutivi (perché nel frattempo la procedura è andata avanti per la vendita del terreno pignorato sulla base del titolo esecutivo “mutuo fondiario”), ha chiesto la cancellazione dell’ipoteca, anche ritenendo la perenzione del decreto ingiuntivo, ma in risposta ha ottenuto dal tribunale tarantino il rigetto della sua legittima istanza. In questo caso la signora sottoposta ad esecuzione immobiliare, ha denunciato presso il tribunale di Potenza alcuni magistrati di Taranto “che -a suo parere- avrebbero male esercitato la funzione giurisdizionale, causandole dei danni”. Anche a Potenza ha dovuto prendere atto che, anziché ottenere tutela, ha solo registrato “l’astio del pubblico ministero e la pessima sua azione”. La circostanza molto inquietante-viene riportato nell’interrogazione-  è quella per cui, sempre in danno della signora Spera, né la magistratura jonica né quella potentina hanno indagato per accertare l’usura che la signora stessa ha lamentato esserle stata applicata. Usura che è poi emersa nell’ambito di una causa civile sempre dinanzi al tribunale tarantino. 

Ispezione nei tribunali di Taranto e Potenza. A fronte di tutto questo i parlamentari del M5S hanno chiesto “se non ricorrano le circostanze per intraprendere le opportune iniziative ispettive, sia presso il tribunale di Taranto, che presso quello di Potenza, onde verificare se quanto lamentato dai soggetti coinvolti corrisponda al vero e, in caso di verifica positiva, se non ricorrano le condizioni di adozione dei necessari provvedimenti correttivi a tutela delle parti e del corretto esercizio della funzione giurisdizionale“.  Il pallino, adesso, passa al ministro della Giustizia.