La misteriosa morte del carabiniere Santino Tuzi nel nuovo libro di Amendolara

Quanti misteri irrisolti nel nostro Paese. Inchieste giudiziarie, in cui, purtroppo, si finisce per constatare che “la legge non è uguale per tutti”. A distanza di anni siamo alla continua ricerca di verità e giustizia su molti casi accomunati da depistaggi, incuranze, superficialità, errori umani ma anche tante omertà, incapacità e limiti investigativi. Che poi sono i limiti dell’uomo quando chi dovrebbe appurare la verità preferisce seguire le tesi di amici magistrati, inquirenti, medici legali, sacerdoti e familiari che non sempre raccontano la verità. Come il caso di Arce, in provincia di Frosinone, che il giornalista e amico Fabio Amendolara racconta nel suo nuovo libro “L’ultimo giorno con gli alamari”: l’inquietante storia vera sulla misteriosa morte del brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi, rinvenuto morto l’11 aprile del 2008 nella sua auto, ucciso con un colpo di arma da fuoco partito dalla sua pistola di servizio. Cosa turbava quel giorno il brigadiere? Quali turbolenti pensieri hanno per anni assillato la vita di un servitore dello Stato che aveva sempre condotto una vita tranquilla, improntata anche ad una seria e scrupolosa attività lavorativa. Cosa aveva visto? Cosa aveva sentito? Cosa aveva sospettato il brigadiere Tuzi durante la sua permanenza nella Caserma dei Carabinieri di Arce? Lo racconta Amendolara nel suo ultimo libro, col solito piglio investigativo che contraddistingue le sue inchieste giornalistiche. Il caso Tuzi è ancora irrisolto, così come un altro delitto che si verificato nello stesso piccolo paese della Ciociaria, dove tutti si conoscono e tutti sanno tutto di tutti: il delitto di Serena Mollicone. La giovane studentessa, uccisa nel 2001, è stata rinvenuta tra rovi e cespugli, una busta di plastica in testa, le mani e i piedi legati con lo scotch e fil di ferro, proprio a poche centinaia di metri da luogo in cui venne ritrovato anche il carabinieri Tuzi. Perché fu uccisa Serena? Cosa sapeva? Cosa voleva denunciare quando entrò per l’ultima volta poco prima di morire in quella stessa caserma dei carabinieri dove prestava servizio il brigadiere Tuzi? La ragazza aveva una relazione sentimentale con il figlio del maresciallo che aveva problemi di droga. Voleva forse denunciarlo per aiutarlo ad uscire dal giro dello spaccio? Non c’è solo un nastro adesivo che lega i due casi (lo stesso scotch che legava le mani di Serena, sarebbe stato utilizzato nel corso di un trasloco della vecchia alla nuova caserma dei carabinieri) su cui oggi si concentra il lavoro minuzioso di Fabio Amendolara. Un giornalista di inchiesta che si è guadagnato le ribalte delle cronache in anni di gavetta nei corridoi delle Procure e dei Tribunali anche per altri misteriosi casi come quelli di Ottavia De Luise, Elisa Claps, Anna Esposito. Anche per il caso Tuzi-Mollicone, l’autore cerca di offrire un contributo per la necessaria riapertura delle indagini, come richiesto dai familiari delle vittime che non credono nelle verità fin’ora accertate. E’ un lavoro certosino, genuino, frutto di una lettura attenta di quanto riportato tra le migliaia di carte giudiziarie raccolte nel suo inseparabile Note3, ma anche delle tante contraddizioni non analizzate, delle piste non seguite, degli accertamenti non eseguiti per motivi non ben precisati. Perché in tanti casi di presunti omicidi ci sono tanta approssimazione, superficialità e negligenza nel perseguire strade investigative che, quando rischiano di far scoprire verità scomode, si finisce con archiviare come semplici suicidi? Anche nelle inchieste di Arce, sia di Serena che del brigadiere Tuzi, così come in quella di Potenza sulla misteriosa morte del commissario di polizia Anna Esposito, ci ritroviamo sbigottiti di fronte all’omertà di alcuni uomini servitori dello Stato che non hanno collaborato con altri pezzi dello Stato per accertare le verità. Di fronte alle incertezze, ai tanti dubbi, alle cose non dette o non raccontate, né tanto meno refertate e analizzate, rimane solo il triste e struggente dolore dei familiari ed amici delle sfortunate vittime che non si rassegnano e che cercano di trovare nella buona informazione l’arma per continuare a pretendere Verità e Giustizia su tante storie e fatti di cronaca che ci angosciano e avviliscono. Ma soprattutto che mortificano e umiliano vite di donne e uomini fermate da un crudele destino e condannate all’oblio da una “Giustizia ingiusta” e da una società rassegnata alle mezze verità. Non è certo quel giornalismo comodo dei facili e semplici “copia e incolla” quello praticato da Amendolara e, purtroppo, molto spesso usato in un mondo dell’informazione perverso che preferisce non sporcare nemmeno qualche rigo di inchiostro per raccontare casi irrisolti, figuriamoci quelli archiviati per comodità, opportunità o incapacità. Per Fabio, che ho avuto l’onore e il piacere di conoscere e frequentare in questi anni, incamminarsi in queste turbolente inchieste è una scelta motivata da un’etica e una responsabilità professionale, oltre che umana, che lo vede sempre impegnato dalla parte degli ingiusti e dei più deboli, contro quei “poteri forti” che imbavagliano il Sistema. Insieme a Fabio abbiamo visitato tanti luoghi, ci siamo confrontati per analizzare tante inchieste e abbiamo incontrato migliaia di persone che chiedono al mondo dell’informazione di raccontare la verità per pretendere poi giustizia nelle sedi competenti. Da domani ripartiremo da Arce, per raccontare “L’ultimo giorno con gli alamari”, al fianco di Maria Tuzi (figlia del brigadiere), di Guglielmo Mollicone (padre di Serena) e di tante altre persone che non si sono arrese e che pretendono, di fronte a verità non logiche, non coerenti e convincenti, rispetto oltre che Verità e Giustizia per Santino Tuzi e Serena Mollicone. Sarà un nuovo lungo ma anche entusiasmante viaggio, al fianco di Fabio, che con la schiena dritta è impegnato da sempre a sensibilizzare noi altri per l’affermazione della legalità e della giustizia in ogni parte del Paese.
Gianluigi Laguardia giornalista