Sporco petrolio: la lunga scia di corruzione, inquinamento e malaffare

9 aprile 2016 | 10:50
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Sporco petrolio: la lunga scia di corruzione, inquinamento e malaffare

Il settore delle estrazioni di petrolio e gas è in assoluto tra i più a rischio corruzione, con un tasso del 25% di corruzione percepita (dato Trasparency). Petrolio, gas e risorse minerarie costituiscono tuttora i settori a maggior rischio corruzione del mondo (dati Ong Global Witness). In un campione di 427 casi di corruzione registrati tra il 1999 e la fine del 2014, quelli riguardanti i settori citati rappresenterebbero da soli il 19% del totale. L’alta propensione alla corruzione nel settore delle estrazioni di gas e idrocarburi è, infatti, dovuta principalmente alla sproporzione tra la forza contrattuale ed economica messa in campo dagli operatori economici titolari e/o gestori degli impianti e la debolezza politica ed economica dei territori dove questi impianti insistono concretamente. Meccanismo perverso che alimenta disuguaglianze e ingiustizie sociali con enormi danni a carico dell’ambiente.

In Italia, prendendo in esame i principali scandali degli ultimi due anni e mezzo, sono state almeno 97 le persone indagate (e in alcuni casi già condannate) per reati ambientali e sanitari e 92 quelle sotto indagine per reati legati a corruzione, truffa e frode fiscale, per un totale di 189 persone, tra cui molti alti dirigenti e funzionari. Sporco petrolio, il dossier di Legambiente presentato l’8 aprile a Perugia, racconta l’altra faccia dell’oro nero. Alcune storie emblematiche tra illegalità, corruzione e inquinamento ambientale. Dal più recente caso del Centro Oli di Viggiano e dei casi collegati di Tempa Rossa (Pz) e Augusta (Sr), alla vicenda relativa alla piattaforma Vega A al largo delle coste di Pozzallo (Rg), fino alla storia della Raffineria di Gela; dall’inchiesta sulla raffineria di Cremona a quella di Livorno, senza tralasciare indagini e sentenze su siti meno noti ma ugualmente coinvolti dall’illegalità che spesso caratterizza la filiera del petrolio.

“E’ evidente la sproporzione fra la forza contrattuale ed economica messa in campo dai singoli operatori economici titolari e/o gestori degli impianti e la debolezza politica ed economica dei territori dove insistono realmente le piattaforme estrattive, come la Basilicata. È un meccanismo che alimenta ancora di più le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, suggellate da enormi danni ambientali – afferma Alessandro Ferri, presidente di Legambiente Basilicata – In contesti sociali facilmente permeabili alle pratiche corruttive, sia per ragioni imputabili alla presenza di strutture criminali (anche mafiose) e di debolezza economica che per la scarsa “resistenza” di inadeguati e vacillanti apparati politico istituzionali, i controlli risultano difficilissimi, tanto che gli stessi inquirenti raccontano la difficoltà di poter monitorare e controllare i sistemi di smaltimento. Ecco perché dobbiamo andare a votare il 17 aprile e votare Si. Partecipare al referendum non significa solo voler porre un limite alla durata delle concessioni di ricerca ed estrazione di petrolio e gas entro le 12 miglia ma dare un segnale chiaro e inequivocabile sulla politica energetica che vogliamo: produzione diffusa, capillare e democratica delle energie rinnovabili, che generano ricchezza e benessere collettivo nel pieno rispetto del territorio”.

Un lungo approfondimento è dedicato quindi proprio alla Basilicata, partendo dalle ultimissime vicende giudiziarie fino all’inchiesta sul Centro Oli venuta alla luce a febbraio 2014 con un primo “blitz” dell’Antimafia per fermare un traffico organizzato di rifiuti e la sentenza del 4 aprile del tribunale di Potenza che condanna in primo grado gli ex vertici della Total Italia relativamente a un’indagine parallela sul sito Tempa Rossa, svolta nel 2008, per tangenti sugli appalti per l’estrazione del petrolio lucano. Grazie a un lungo lavoro investigativo era stato possibile scoperchiare ciò che era stato definito dalla stampa “Totalgate”, per l’alto coinvolgimento di dirigenti della Total insieme a imprenditori, politici (nazionali e locali) e manager petroliferi. In totale sono state 31 le persone a vario titolo coinvolte, per reati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta, corruzione e concussione.