Natalità in calo: “possiamo permetterci un figlio?”

21 aprile 2016 | 17:27
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Natalità in calo: “possiamo permetterci un figlio?”

Ci sarà più di un motivo per spiegare perché la Basilicata detiene uno dei più bassi livelli di natalità (7,3 per mille, con la provincia di Potenza ancora più basso). Per il quinto anno consecutivo, nel 2015 si è registrata una riduzione del numero di figli per donna, sceso a 1,29. Una delle principali cause della bassa natalità è costituita dagli ostacoli economici e culturali che incontrano le donne, soprattutto quando decidono di diventare madri. Altro aspetto cruciale è la precarietà lavorativa e il “non lavoro”: la decisione di avere un figlio comporta la necessità di una sicurezza e un livello minimo di reddito e, nelle coppie monoreddito, diventa sempre più difficile scegliere di fare un figlio. Ma “Possiamo permetterci un figlio?”. Da questo provocatorio interrogativo prende le mosse l’iniziativa della Uil e del Coordinamento Pari Opportunità sul tema della maternità e sulle difficoltà di conciliare i tempi di vita e lavoro.

Retribuzioni, qualifiche, part-time: differenze uomo-donna. Un’elaborazione della Uil su fonte Inps, relativa al solo settore privato, fa emergere le sostanziali differenze tra uomo e donna per qualifica, part-time e retribuzione. Dall’analisi dei dati si evince come sia preponderante l’assunzione di donne nelle aree “impiegati” e “operai”, mentre si assiste ad un forte divario (in senso negativo per le donne) se si considerano le qualifiche di “quadri” e “dirigenti”. Gap di genere anche nella retribuzione media annua, dove, indipendentemente dalla qualifica assegnata, la retribuzione delle donne è sempre inferiore a quella degli uomini pur in presenza della medesima categoria legale di appartenenza. L’utilizzo del part-time in base alla qualifica di assunzione, conferma la predisposizione dell’universo femminile a tale tipo di flessibilità lavorativa, con la conseguente riduzione della loro retribuzione che già in partenza era più bassa di quella degli uomini

Conciliazione tempi vita-lavoro. Senza considerare che i 12 mesi (9 di gravidanza e 3 di maternità obbligatoria) sono “un buco nero” rispetto alla storia lavorativa della donna, quasi una donna su quattro (22,3%) che risultava occupata al momento della gravidanza non lo è più dopo la nascita del primo figlio. Per due lavoratrici su tre una delle cause maggiori rilevate, è proprio la difficoltà di conciliare i tempi di vita con quelli di cura della casa e della famiglia. A questo proposito è interessante notare che nel 2014 tra le motivazioni principali per la richiesta di dimissioni ci sono il desiderio di cura della prole in maniera esclusiva e l’incompatibilità tra occupazione lavorativa e assistenza al neonato ( es. assenza di asili nido e baby sitter, mancato accoglimento al nido, assenza di parenti di supporto). Questa difficoltà nella conciliazione è confermata dalla scarsa attenzione dello Stato, che ad oggi spende appena l’1,4% del PIL per famiglia e maternità, contro il 2,1% della media europea con il record della Danimarca pari al 3,7 % della spesa. Nel nostro Paese abbiamo bisogno sia di buone leggi, sia di buone pratiche che promuovano una nuova cultura della conciliazione come “condivisione di responsabilità della genitorialità”. Anche l’ultimo intervento del Jobs Act in materia di conciliazione, è purtroppo simbolico.

In Italia fare figli costa. Le sole spese sanitarie da dover sostenere durante il periodo di gravidanza, tra esami e scelta del medico, arrivano fino a 5.000 euro. E’ necessario, poi, considerare il post nascita: dopo i cinque mesi complessivi di congedo obbligatorio, da distribuire prima e dopo il parto, dove li sistemiamo i figli? Possiamo permetterci, in un periodo di crisi generale, di astenerci dal lavoro per altri sei mesi usufruendo del congedo parentale facoltativo retribuito appena al 30%? Possiamo permetterci di fare un figlio? Ad oggi l’offerta complessiva di asili nido è pari a 9241 strutture, di cui 41,9% pubbliche (pari a 3869) e 58,1% private (5372). Ciò, tradotto, significa per assurdo che ogni asilo nido dovrebbe accogliere 226 bambini. È chiaro quindi che nel nostro Paese, nonostante la bassa natalità, c’è una forte insufficienza di servizi all’infanzia. E la sfera economica rende più complesso il quadro: il costo medio nei nidi pubblici è di 311 euro mensili che incide per il 12% sul budget familiare, con un aumento del 2,4% rispetto a tre anni fa. A questo costo, va aggiunta anche la spesa che ogni famiglia deve sostenere per il primo anno di età del bambino – dalle visite mediche alle pappe, dal latte artificiale (se serve per l’allattamento) ai pannolini a cui aggiungere lettino, carrozzina, passeggino, biberon, fasciatoio, medicine, vestiti e calzature – che può andare da 6.809 fino a 14.582 euro.

Le proposte della Uil. Alla luce di tutte le considerazioni, le riflessioni e i dati discussi, il Dipartimento Pari Opportunità e Politiche di Genere Uil– riferisce Anna Carritiello, della segreteria regionale della Uil e responsabile politiche di genere – ha presentato alcune proposte: Congedo obbligatorio anche per il padre di almeno 15 giorni e non solo di due, come previsto dall’attuale normativa; Più risorse per i servizi per la prima infanzia: a. più offerta pubblica che privata (al momento l’offerta di asili nido pubblici è pari al 41,9% a fronte di quelli privati pari al 58,1%), b. abbattimento delle tariffe degli asili, almeno del 10%, con possibilità di detrazione ai fini della dichiarazione dei redditi al 50% (ad oggi invece si può detrarre solo il 19%), c. misure di sostegno economico per l’acquisto di beni per il primo anno di vita del bambino (ad oggi fino ai tre anni del bambino viene concesso soltanto un sostegno economico pari a 80 euro mensili con il bonus bebè), d. misure di sostegno economico per l’acquisto di servizi per la prima infanzia (asili nido o baby sitter) estesi almeno ad un anno di vita (attualmente con il voucher baby sitting sono previsti solo 6 mesi); Destinazione dell’8 per 1000 per aumentare i servizi per la prima infanzia; Sostegno e sviluppo del welfare aziendale: destinazione delle caserme dismesse, dei beni confiscati alla mafia e dei beni immobili dello stato a centri per i servizi di cura; Percorso preferenziale nelle prenotazioni per esami fondamentali nella gravidanza per ovviare il problema delle lunghe liste di attesa della sanità pubblica. Comunicato congiunto Uil e Uilpo