No Triv: “sui pozzi di Calvello la Cgil non riesce a trovare una sintesi unitaria”

29 marzo 2016 | 09:27
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No Triv: “sui pozzi di Calvello la Cgil non riesce a trovare una sintesi unitaria”

Una delegazione di militanti lucani aderenti al Coordinamento nazionale No Triv partecipò con grande interesse, il 16 Luglio 2013, ai lavori di un importante convegno tenutosi presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Teramo, dal titolo “Taranto è in Europa! La sentenza della Corte costituzionale sul decreto “Salva-Ilva” e la politica ambientale dell’Unione Europea”. La Tavola rotonda, condotta da ordinari di Diritto Costituzionale e membri dell’Associazione dei Costituzionalisti, riguardava specificità, contraddizioni, conseguenze, di una sentenza che continua a fare discutere, senza mai perdere d’occhio la gravità del caso Ilva. Nel corso della sessione pomeridiana, intitolata “L’ambiente, lo Stato e l’Unione Europea: a partire da Taranto”, sono stati presi ad oggetto argomenti quali la politica ambientale, la politica industriale, la riduzione dei gas ad effetto serra, l’informazione ambientale, l’AIA, la VIS, le emissioni industriali, l’inquinamento atmosferico. L’Ilva di Taranto e la politica ambientale dell’Unione Europea, dopo che la complessa e drammatica vicenda dell’Ilva è diventata un caso emblematico, una sorta di metafora dei tanti problemi che investono l’ambiente e la crisi delle politiche industriali nel nostro paese, non sono più separabili. A partire da Taranto si toccano infatti i destini dell’ambiente e della salute in ogni angolo dei territori dove viviamo, dove lavoriamo, dove lottiamo. Il titolo stesso del convegno denunziava il rischio crescente di allontanamento dell’Italia dall’Europa, ricordando al tempo stesso che la questione tarantina è una questione non solo pugliese, bensì nazionale, soprattutto europea.

Quel convegno ha rappresentato per noi lucani un importante momento di crescita e di confronto, non solo per la sorte che accomuna in maniera organica la città di Taranto e la Basilicata sotto il violento attacco concentrico della SEN (Strategia Energetica Nazionale), ma anche perché ha incrementato la consapevolezza di dover condurre una battaglia più incisiva sul piano sociale e normativo. Non possiamo infatti continuare a subire il ricatto di compagini di governo che, in successione, usano la UE solo per parlare la lingua degli interessi delle multinazionali e del TTIP, perché vogliamo contribuire a velocizzare in maniera efficace e coinvolgente la transizione dalla schiavitù del fossile alla gestione diffusa del rinnovabile pulito. Molte cose sono accadute in questi circa tre anni. Siamo alle porte del primo referendum che riguarda gli idrocarburi, dopo un tortuoso ed accidentato iter politico/giudiziario/normativo, che ha costretto il governo centrale ad assorbire importanti quesiti nella Legge di Stabilità. Le lotte dal basso, la lettera enciclica sull’ambiente di papa Francesco; la COP21 sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi, sono al tempo stesso testimonianza viva ed emblema di un cambio di direzione e di nuova sensibilità internazionalizzata dal segno ormai irreversibile.

Colpisce, in questo contesto, che la Cgil, principale organizzazione sindacale italiana, che trovò la forza nel 2011 di impegnarsi in prima persona nella campagna per l’affermazione della cultura della difesa dell’Acqua Bene Comune, di fronte alla materia energetica non riesca a trovare un punto di sintesi unitaria. Sotto gli occhi di tutti, evidenti, le contraddizioni tra un quadro di compatibilità neocorporativa e di consenso dei tesserati (in primis i chimici di Miceli) e pulsioni eticamente condivisibili di centinaia di esponenti di rilievo, rese pubbliche in chiave pur sempre individuale. Non sfugge, altresì, la contraddizione manifestata dallo stesso segretario generale regionale di Basilicata Summa, che da un lato fa sapere, con tutti i segretari di categoria, i perché della propria inclinazione al SI’ referendario e d’altro canto, dopo la  Sentenza del TAR Basilicata n. 282 del 24/3/2016 sul ricorso presentato da Eni contro la Soprintendenza alle Belle Arti e Paesaggio della Basilicata, due ministeri (MiBac e Mise), l’Ente Parco nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri e Lagonegrese, sembra abbracciare la tesi secondo cui il diritto all’impresa legato alla filiera estrattiva petrolifera sia di fatto prevalente sulla tutela della salute e dell’ambiente. Il commento sindacale della sentenza del TAR, che ha accolto il ricorso di Eni per le autorizzazioni ambientali relative ai pozzi Caldarosa 2 e 3 ed agli oleodotti correlati, è infatti di questo tenore: «per la CGIL Basilicata Lavoro e salute devono andare di pari passo, è quello che diciamo anche a proposito del referendum del 17 aprile». Come si può, su un piano astratto e di principio, non essere d’accordo?

Quando però si parla di via libera ad ulteriori devastazioni petrolifere, in concreto del caso dei due pozzi di Calvello, non riusciamo di certo ad esprimerci in maniera ottimista e quasi entusiasta nel vedere che essi sono “sbloccati” dal Tar dopo il ricorso di Eni! La “massima autorevolezza, credibilità ed efficacia sui controlli sull’ambiente, la salute dei cittadini e quella dei lavoratori” che la segreteria regionale della Cgil lucana invoca, resta alla prova dei fatti una pia illusione, un puro auspicio, visto che “gli organismi deputati al monitoraggio degli effetti potenzialmente nocivi sulle popolazioni lasciano un po’ a desiderare: è il caso di Regione e Asp ma soprattutto dell’Arpab, che in particolare sembra non avere risorse adeguate per un’azione efficiente e concreta”. Chi sarebbe in grado, a questo punto, di controllare l’operato dell’Arpab? Siamo sicuri che, a maggior ragione perché possiamo basare ogni considerazione di carattere scientifico, amministrativo, anche giudiziario, su decenni di effetti del sistema estrattivo nella nostra regione, la Cgil Basilicata non corra il rischio di bendarsi gli occhi e di cadere nella trappola dei petrolieri per eccesso di delega sostanziale ad organi cui essa stessa non mostra di poter manifestare, a ragion veduta ed in più occasioni, motivi di piena fiducia?

Sulla sentenza del Tar lucano, Summa dice che «il giudice esprime un concetto della Costituzione, ovvero la salvaguardia del diritto al lavoro e all’impresa tanto importanti quanto la tutela della salute….bisogna rafforzare il monitoraggio, altrimenti ogni attività industriale, anche nuova, è a rischio e ad essere compromessa è tanto la salute quanto l’occupazione. Penso all’Ilva. Lavoro e salute sono correlati, non c’è alcuna contrapposizione». Ben sapendo che in Basilicata non esiste un adeguato piano paesaggistico, nonostante un protocollo d’intesa in materia già concordato nel 2011 fra Regione Basilicata, Mibac, Ministero dell’Ambiente; che Caldarosa e’ una zona di Sic e di Zps all’interno del Parco dell’Appennino Lucano; che a parere dei giudici del Tar essa andrebbe comunque trivellata, in barba a tutte le direttive europee ed all’articolo 9 della Costituzione italiana; che vengono ignorati ricorsi, lettere, centinaia di firme di associazioni, di agricoltori, di pastori, di operatori del turismo, di semplici cittadini, così come si ignora lo stesso principio di precauzione, non si può sposare in modo acritico il richiamo, in sentenza del Tar, al “bilanciamento dei principi Costituzionali ”. Il richiamo del Tar “all’insegnamento della Corte Costituzionale, espresso nella Sentenza n. 85 del 9.5.2013, secondo cui i diritti costituzionali alla salute ed all’ambiente salubre devono essere bilanciati con gli altri diritti costituzionali, come quello della tutela del lavoro ex art. 4 Cost., in quanto tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri, cioè il diritto alla salute ed all’ambiente salubre non devono sempre prevalere sul diritto al lavoro, significa che anche la tutela del paesaggio non deve sempre prevalere sugli interessi pubblici dello sviluppo delle fonti energetiche e dell’occupazione e sul diritto di impresa” fa venire i brividi.

Con la Sentenza n. 85 del 9.5.2013 la Corte Costituzionale ha negato la sussistenza di una illegittima compressione del diritto alla salute ed all’ambiente salubre. E’ così stata disattesa l’idea che possa esistere una gerarchia  tra i diritti fondamentali, che vanno bilanciati, in sede politica, secondo un criterio di ragionevolezza, e senza consentire la prevalenza di altri. A parere della Corte, il bilanciamento realizzato con il decreto «salva Ilva» è ragionevole, trattandosi di assicurare una tutela concomitante del diritto al lavoro ed all’iniziativa economica e considerando che la nuova Autorizzazione integrata avrebbe recepito criteri di protezione ambientale assai stringenti, la cui osservanza è stata favorita da una implementazione del quadro sanzionatorio e degli strumenti di controllo (compresa l’ istituzione del Garante). Sappiamo come sono andate le cose… Vengono i brividi soprattutto se facciamo un paio di considerazioni: 1) In Basilicata le Companies non mollano, anzi! Le modalità innovative ed inedite di utilizzo di nuovi percorsi procedurali autorizzativi da parte di Shell lo dimostrano. 2) Il “governatore” Pittella continua a parlare della “linea del Piave” dei 154mila barili giornalieri, a fronte di una produzione attuale (fisiologicamente) in calo. Il che significherebbe un raddoppio di fatto dei volumi estrattivi, che ampiamente spiega strani e prolungati silenzi istituzionali. Mentre il TAR di Basilicata accoglie l’istanza di sospensione del parere della Soprintendenza per i Beni Paesaggistici, rinviando il proprio giudizio di merito nell’udienza pubblica fissata per il prossimo 18 Novembre, la Cgil dovrebbe battere un colpo. Se non ora, quando? E’ dal profondo del disagio che si indica la strada.

L’alternativa è la subordinazione acritica, al massimo la denunzia impotente. Milioni di iscritti in tutta Italia, centri sudi, quadri inseriti in postazioni strategiche del mondo della ricerca e della produzione, docenti universitari, scienziati. Tutto questo non basta per poter dare concretezza ad un avvio programmatico, ad un’inversione reale di tendenza? Questo Paese, iniziando dalla Basilicata, ha bisogno ora di una Strategia Energetica ed Ambientale condivisa dal basso, capace di legare bonifica del territorio, dell’acqua, dell’aria, del paesaggio, con un piano occupazionale ed infrastrutturale legato ad una nuova mobilità sostenibile, all’autoproduzione energetica diffusa da rinnovabile pulito e non impattante. “Vogliamo che il nostro Paese acceleri la transizione energetica, si doti di un piano industriale strategico per lo sviluppo sostenibile e di un piano per la decarbonizzazione che contribuisca a realizzare l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro1.5° sancito nell’accordo della conferenza sul clima di Parigi”. Così recita un importante brano del recente appello di delegati Cgil, che condividiamo. Oggi si tratta però non più di chiedere in astratto impegni al carnefice dei nostri territori e del nostro futuro, ma di costruire dal basso forza e consenso ad un progetto complessivo. Senza la volontà e la capacità politica di rompere le maglie degli interessi finanziari che orientano lo “Sblocca Italia”, la SEN, il TTIP, saremo tutti condannati ai distinguo individuali per la ricerca delle anime belle! Potenza, li 28

Coordinamento No Triv Basilicata