Quei bidoni tossici mai recuperati al largo di Otranto

27 febbraio 2016 | 11:13
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Quei bidoni tossici mai recuperati al largo di Otranto
Quei bidoni tossici mai recuperati al largo di Otranto
Quei bidoni tossici mai recuperati al largo di Otranto
Quei bidoni tossici mai recuperati al largo di Otranto
Quei bidoni tossici mai recuperati al largo di Otranto
Quei bidoni tossici mai recuperati al largo di Otranto

Qualcuno lo ha definito la prima nave dei veleni. Era il 14 luglio 1974 quando, a seguito di una collisione tra navi al largo di Otranto, affondava la “Cavtat”, con a bordo 2800 tonnellate di carico, tra cui 909 bidoni di piombo, tetraetile e tetrametile, per un totale di 270 tonnellate.

Il recupero di quei bidoni, dopo l’inchiesta dell’allora pretore di Otranto Alberto Maritati, terminò nel 1978. Ne furono portati a galla 863. Degli altri 46 non si è più saputo nulla. Presumibilmente sono ancora in fondo al mare poiché, come si disse all’epoca, situati in spazi della nave difficili da raggiungere per i sub che presero parte a quella che a tutt’oggi è considerata una delle più importanti opere di recupero di un carico inquinante nei mari italiani. 

La bonifica è stata completata? A riaccendere i riflettori sulla vicenda è Giovanni D’Agata, presidente dello Sportello dei Diritti di Lecce. “Nel corso degli ultimi quarant’anni- spiega D’Agata- molti si sono chiesti se le operazioni di bonifica avessero risolto quello che poteva certamente essere un disastro ambientale di proporzioni indefinibili, anche perché il relitto giace ancora a 93 metri di profondità e solo a tre miglia dalla costa salentina, mentre risulta tuttora in vigore l’ordinanza della capitaneria di Porto di Brindisi che vieta la navigazione e la sosta in quel punto.

Duecentosettanta tonnellate di piombo. In un articolo del 5 marzo 2014, il giornalista Gianni Lannes, ricordava che “La Cavtat, di nazionalità jugoslava, era partita il 28 giugno dall’Inghilterra, porto fluviale di Manchester. Destinazione Rijeka-Fiume, 2.800 tonnellate di carico. E in più, 270 tonnellate di piombo, tetraetile e tetrametile, in 909 bidoni trasportati per metà sopracoperta e per l’altra metà nelle due stive. La Lady Rita [ndr l’altra nave], invece vuota, navigava in senso inverso: destinazione Djela e Casablanca. Di questi, ufficialmente 863 furono recuperati nel 1978.” Ed infine, sempre lo stesso giornalista pone un’inquietante domanda: “Una parte dei veleni è ancora nel relitto della Cavtat?”.

Dubbi e misteri. Di quella nave e del suo carico si è occupata la stampa pugliese nel corso degli anni. Tanti i dubbi e gli interrogativi emersi. Tra questi le modalità della collisione e le operazioni che ne seguirono. Una nave vuota sperona l’altra carica provocando una falla che, a detta di alcuni esperti, non era irreparabile e che quindi lasciava tempo per rimorchiare il cargo incidentato. Cosa che però non avenne nonostante-come raccontano le cronache e lo stesso Lannes- il comandante della Lady Rita si fosse offerto di rimorchiare la Cavtat ricevendo un rifiuto dall’equipaggio giustificato con la necessità di non avere grane con la dogana italiana. E così dopo cinque ore dalla collisione il cargo affondò e oggi a disatnza di 42anni il suo relitto è ancora lì, a 93 metri di profondità. Come riporta il Quotidiano di Bari in un articolo apparso nel 2014- alcuni ingegneri hanno addirittura ipotizzato che l’inabbissamento del cargo jugoslavo sia stato accelerato aprendo gli oblò e le valvole di presa-mare. Il che spiegherebbe-sempre secondo il giornale pugliese- anche l’anomalia di una nave affondata di poppa quando invece la falla si era prodotta fra il centro e la prua della fiancata destra. Che la Cavtat nascondesse segreti ancor più imbarazzanti di 909 fusti tossici”?

I tumori sempre più diffusi nel Salento. Ed è questo quesito che oggi, specie dopo la diffusione dei dati epidemiologici sull’incidenza di tumori nel Salento ed in particolare in alcuni comuni della costa, torna nella mente per cercare di comprendere se vi siano concause per quella che sembra una vera e propria epidemia che si diffonde nella provincia di Lecce che probabilmente non è determinata da una sola fonte, ma da più scaturigini che andrebbero tutte indistintamente vagliate. Sembra dunque arrivata l’ora- rileva il presidente dello “Sportello dei Diritti”- delle verifiche a partire dal Ministero dell’Ambiente, data anche l’evoluzione delle tecniche e delle ricerche che si è realizzata nel corso degli ultimi quattro decenni. Verifiche che vorremmo si estendessero a tutta la costa salentina per controllare se vi siano altre “Cavtat” o altri carichi pericolosi ancora in fondo al nostro meraviglioso mare, al posto delle inutili indagini petrolifere”.