Pisticci, nel bacino idrografico del Cavone uno scenario industriale alienante

9 gennaio 2016 | 11:50
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Pisticci, nel bacino idrografico del Cavone uno scenario industriale alienante
Pisticci, nel bacino idrografico del Cavone uno scenario industriale alienante
Pisticci, nel bacino idrografico del Cavone uno scenario industriale alienante
Pisticci, nel bacino idrografico del Cavone uno scenario industriale alienante
Pisticci, nel bacino idrografico del Cavone uno scenario industriale alienante
Pisticci, nel bacino idrografico del Cavone uno scenario industriale alienante

Abbiamo deciso di fotografare il paesaggio industriale meno conosciuto di Pisticci, quello opposto alla Val Basento e che ricade nel bacino idrografico del Cavone – Serra Pizzuta. La zona che vi documentiamo con il nostro reportage fotografico, si sviluppa lungo un’asse di circa  3 km, che parte dalla discarica di La Recisa ed arriva alla discarica di rifiuti speciali Ecobas, per poi proseguire con qualche diramazione nel reticolo dei pozzi Eni che costellano la zona. Lo scenario è alienante e ci arriviamo dalla SS176.

La Ecobas è una discarica “speciale”, lo si vede dal satellite. Ci chiediamo da subito come sia possibile che camion da trasporto per rifiuti speciali si muovano a ritmo frenetico su strade sterrate di campagna, attraversando con la loro mole piccoli ponti precari, o curve prive di segnaletica o di qualsivoglia precauzione. Notiamo subito, in una forra vicino il secondo bivio per l’Ecobas, una colorazione anomala dell’acqua, proseguiamo ed arriviamo alla Ecobas.  Su Google Maps, cercando “Ecobas srl” viene riportato un punto sperduto della campagna ad oltre 3 km di distanza dalla vera Ecobas: sarà una disattenzione ma il risultato di depistare il visitatore è garantito, infatti immettendo in Google le vere coordinate della discarica speciale, dall’alto il satellite ci restituisce un quadro astratto alla Kandinskij, un quadro dipinto proprio dal riversamento dei rifiuti speciali ( coordinate 40.398505 – 16.524429 ) che all’interno del perimetro della discarica assumono colorazioni e contorni svariati. Oggi il tutto è coperto quindi non più visibile. Arpab non ha mai pubblicato un solo dato ambientale su questa discarica all’interno del proprio sito web, ma grazie all’articolo apparso su Basilicata24, intitolato “Quelle analisi mai fatte ai pozzi Eni di Pisticci: ”lascia stare li c’è la merda” sappiamo che in quella discarica, nei decenni passati, ci sono finiti anche i rifiuti della Cemerad di Statte, oltre a ad un flusso ingente di rifiuti tossici dalla Puglia.

La frana al pozzo Pisticci 19 ed altri piccoli cedimenti. L’instabilità idrogeologica dei pozzi di Pisticci è evidente sia per estensione che per gli effetti. Costruiti a ridosso di forre e torrenti, in terreni argillosi, gli agricoltori a volte ben pensano in aggiunta di bruciare a ridosso delle aree pozzo anche gli scarti vegetali. Le linee dell’acquedotto lucano sembrano essere delle liane sospese tra un bordo scarpata e l’altro, prive di sostegno e protezioni. Non di rado ci imbattiamo in antiche fornaci incorniciate da rifiuti abbandonati e, nel percorrere a piedi i costoni di una forra, ci rendiamo conto che la stessa Ecobas dista a poche decine di metri da un burrone, in visibile dissesto, che ha un dislivello di una ventina di metri dal torrente sottostante, e sul versante opposto, sempre a ridosso del vuoto, un altro pozzo.

Alla centro oli Eni di Pozzitello fanno gas-flaring? La discarica di “La Recisa” si fa annunciare dalle centinaia di volatili, di diverse specie, che volteggiano su di essa. Ignoriamo se esista un divieto di caccia nelle zona, fatto sta che ufficialmente mai nessuno ha studiato l’eventuale effetto di dispersione che questi volatili possono offrire con la loro dieta a base di rifiuti. All’interno del recinto, vicino l’entrata, fotografiamo un contenitore marchiato Eni: interrogato il personale addetto, ci spiegano che è semplice lubrificante per i mezzi e che non c’è nulla di cui preoccuparsi. Anche per La Recisa, come per l’Ecobas, sul sito Arpab non compare alcun dato utile e proseguiamo per il vicino centro oli Eni, in contrada Pozzitello. L’aria non è delle migliori, è acre e si mischia a quella della discarica per un mix davvero nauseabondo. Con grande stupore vediamo dopo più passaggi, che una torcia rimane sempre accesa su un camino del centro oli. Eni scrive sul suo sito che si tratta della fiaccola d’emergenza e sembra di rivedere il solito copione già visibile in Val d’Agri. Si fa gas-flaring con la scusa della sicurezza?

Quel canneto tra i calanchi: tubi di plastica ed acqua rossa per drenare cosa? A poche centinaia di metri dall’ingresso della Ecobas e vicino alla locale centrale gas, la nostra attenzione viene rapita da un canneto, apparentemente costruito in una sorta di vasca in terra battuta. Ha una forma ed una vegetazione non affine al resto del paesaggio e si trova al ridosso dell’ingresso per il pozzo Eni – Pisticci 6. Alla base di questo canneto sopraelevato emergono dal terreno alcuni tubi in gomma, dai quali fuoriesce un acqua rossastra. Notifichiamo la vicenda al Noe con la mal riposta certezza che questa acqua rossa, già documentata in tante altre parti del mondo e della Basilicata, sia una traccia tipica di determinate categorie di rifiuti, gli stessi guarda caso trattati nella zona. Un minimo comune denominatore accompagna questo tour: l’agricoltura ed anche l’allevamento, praticato a ridosso di molte di queste aree.

Pisticci capitale europea della sotto-cultura. Tempo fa durante l’ennesimo incontro bluff dell’amministrazione Di Trani sulle trivelle in mare, un membro del “Collettivo Amara Lucania” disse: “altro che Matera  2019, il vero progetto sarebbe lanciare Pisticci a capitale europea della sotto-cultura, in fatto di distruzione del territorio possiamo essere un modello”. Come non dare ragione a questa lucida ed incontestabile riflessione, effettivamente in appena 3 km in linea d’aria abbiamo visto una concentrazione di attività impattanti degne di un distretto industriale cinese o terzomondista. Col dovuto rispetto s’intende, del resto almeno in Nigeria come in Ecuador una reazione popolare forte da parte di alcuni gruppi c’è stata a differenza della Basilicata che con umiltà qualcosa dal Terzo Mondo la dovrebbe ancora imparare.

Giorgio Santoriello e Andrea Spartaco